domenica 16 dicembre 2012

...A proposito dei fatti di Varese


E' passato circa un mese da quando un blitz delle forze dell'ordine ha condotto all'arresto di 5 dipendenti della Motorizzazione di Varese. Secondo il teorema degli inquirenti, i funzionari arrestati (più altri soggetti appartenenti al mondo delle Agenzie di pratiche auto) avevano costituito un giro di false revisioni di veicoli. Autocarri ormai pronti per lo sfascio passavano la revisione periodica, sembra addirittura senza essere neanche visti. Ovviamente l'aiutino veniva ben remunerato.
Ora ci sarà un processo che dovrà confermare o smentire il teorema degli inquirenti, condannare gli eventuali colpevoli ed assolvere gli innocenti.
E' inutile girarci attorno: l'Italia è uno dei paesi in cui la corruzione costituisce sempre meno l'eccezione e sempre più la regola. Tra i paesi comunitari siamo i latori di questo triste primato. E' ovvio peraltro che non si è giunti a questo punto per caso, ma per precise scelte e messe in atto da parte della politica che hanno coinvolto funzionari di grado sempre più basso fino a raggiungere anche sperduti organi periferici come Varese.
Qualora le ipotesi d'indagine venissero confermate, sarebbe impossibile pensare ad un caso isolato: se funzionari periferici costruiscono un'associazione in grado di gestire in modo meticoloso revisioni false, al punto che i presunti reati addebitati sono svariate decine, ciò non è avvenuto per semplice iniziativa personale. Il sistema ha partorito una serie di intrecci e connivenze che hanno reso possibile la creazione di un'attività illecita parallela a quella istituzionale talmente radicata da costituire una sorta di binario alternativo. La mazzetta è percepita come un fatto “normale”, quasi ordinaria concorrenza per aggirare gli ostacoli, non un obbrobrio illecito quanto odioso.
Fenomeni di corruzione sono comunque tipici delle società democratiche, ove il potere reale è frammentato ed elettivo e quindi fa gola a molti. In Italia la svolta, il reale varo dell'industria della corruzione, avvenne nel 1976, quando alla segreteria del Partito Socialista Italiano, il quarantunenne Bettino Craxi successe all'allora leader Francesco De Martino. Gli anni '80 è stato il periodo in cui la spregiudicatezza della nuova classe politica e la sua sempre maggiore necessità di autotutela per la crescente avidità, resero necessario procedere alla distruzione del sistema di controllo pubblico sulle attività dei politici.
La “Milano da bere” fu una città svuotata di molti dei valori etici e culturali che ne hanno fatto la storia e fu anche il periodo in cui nacque la logica di attaccare a tutto il cartellino del prezzo. A quegli anni risale anche l'aggressività economica della nuova classe imprenditoriale. I vecchi imprenditori del dopoguerra, per intenderci quelli alla Leopoldo Pirelli che si mischiavano ai loro operai per preparare le mescole degli pneumatici, furono sostituiti dai loro figli (o successori), magari usciti dalle migliori università ma certamente carenti dal punto di vista del rapporto umano con i loro dipendenti. Giova ricordare che proprio la particolare natura dei rapporti umani all'interno delle fabbriche italiane, unito certamente alla enorme quantità e qualità del lavoro e dell'innovazione, fu una delle cause del cosiddetto boom economico degli anni '60. All'inizio degli anni '90 risalgono Tangentopoli con tutte le sue conseguenze, la trattativa Stato – mafia che ci si sforza ancora di definire “presunta”, le stragi di Capaci e via D'Amelio, la salita al potere del “delfino politico” del defenestrato Craxi, Silvio Berlusconi, e l'inizio di uno dei periodi più bui del nostro paese. Negli ultimi vent'anni l'Italia ha partorito decine di leggi vergogna che hanno spinto l'Italia sempre più in basso tra i paesi occidentali.
Oggi l'Italia è un paese in cui nessun investitore straniero penserebbe di investire (chi sarebbe così folle da portare denari in un'azienda il cui bilancio potrebbe essere falsificato senza troppe conseguenze); in cui i giovani non hanno futuro e quella che potrebbe essere la nuova classe dirigente prende il largo; in cui la corruzione dilaga anche ai livelli più bassi.  

giovedì 29 novembre 2012

Ti è mai successo?


Ti è mai successo di passare in strada una domenica all’ora di pranzo?
E magari di attraversarla in una giornata in cui il cielo, trasformatosi in un coperchio di piombo, ti vomita addosso tutta l’acqua di cui è capace?
Ti è mai successo di vedere quella strada, malgrado tutto, con una luce talmente bella da trasformarla in una foto in bianco e nero? Oppure di osservarla attraverso gli occhi ed i colori falsamente tenui di Monet; appena accennata a chiazze piccole, colpi di pennello fibrillanti che, presi punto per punto, non significano nulla, ma nell’insieme sono lo spettacolo della luce? E di non sapere quale è l’immagine reale e quale è fantasia, dal momento che il tempo non esiste più?
Ti è mai successo di rivederti in quella strada, pulcino impaurito dal cuore impavido, mentre ti affacciavi a quella vita che ora si sta realizzando?
E magari sentirti esplodere l’animo quando figure che pensavi di aver dimenticato e che appartengono ad un passato remoto, ti riappaiono, sbucate dal niente, con i loro occhi segnati dagli anni e dall’esperienza, i loro volti corrugati  dal tempo, così diversi rispetto a come erano.
Ti è mai successo di sentire tutte le storie che quella strada ha da raccontarti? Di vederne le passioni, i drammi, il sangue versato sull’asfalto misto a polvere, acqua e bossoli?
Ti è mai successo di parlare al te stesso di tanto tempo fa? Di sorridergli e dirgli, con tutto l’amore che possiedi: “Tranquillo, andrà tutto bene”?
Ti è mai successo di pensare alla campagna, piatta, grassa ed umida, di sentire il profumo dell’erba tagliata misto ad un cristallino suono che si erge, gradito, fino a Dio?
Ti è mai successo di sentire il sapore della birra fredda misto a quello del tuo sangue?
O di pensare quando, alla fine del tempo del guerriero, dovrai chinare il capo di fronte alla Grande Signora?
Ti è mai successo di pensare alla paura che avrai e di come riuscirai ad affrontarla?  
Ti è mai successo di pensare a quali abiti potresti indossare quando ti presenterai dal Grande Giudice?
E che tutti coloro che ti giudicheranno, sorridendoti, non guarderanno il tuo abito, povero e stracciato, ma la tua anima perché anche loro, un tempo, si presentarono con misere vesti?
Ti è mai successo di pensare al fumo delle sigarette di tuo padre, che non potrai mai più respirare, o al volto di tua madre che non potrai mai più carezzare? Ed alle cose, le mille cose, che avresti voluto dire e che, per orgoglio o vigliaccheria, hai taciuto? E a cosa daresti per passare ancora mezza giornata il loro compagnia nella casa che fu anche la tua?
Ti è mai successo … (continua tu, ora!) 

domenica 28 ottobre 2012

Quanto vale il lavoro delle autoscuole?




Antefatto: superstrada della Malpensa.
Una BMW sfila a forte velocità sulla corsia di sorpasso attaccata al veicolo che precede. Quest’ultimo prova a scansarsi rientrando a destra. Il conducente della BMW, una signora di mezza età che potrebbe benissimo essere scambiata per la vicina di casa, ancora prima del completamento della manovra di rientro, accelera bruscamente. Risultato: aggancia da dietro l’auto che precede e la ribalta. Solo per una pura questione di fortuna non ci è scappato il morto. Il ragazzo alla guida del veicolo ribaltato se l’è cavata con molta paura e qualche graffio, ma avrebbe potuto essere molto più sfortunato. Per un caso, solo per un caso, la traiettoria impazzita della sua auto non ha incrociato quella di altri veicoli. E se ci fosse stata una moto?
Giustificazioni della signora alla guida della BMW: “avevo fretta”. L’auto è risultata peraltro priva di assicurazione.
Ora, se una signora di mezza età (che dovrebbe quindi avere una certa esperienza e maturità) trova normale guidare come una pazza un’auto costosa e potente ma senza assicurazione “perché ha fretta”, e se nessuno l’ha ancora fermata stracciandole la patente (chissà quante volte questa persona ha attentato alla vita degli altri facendola franca), qualche problema strutturale ci deve essere.
Ed in effetti i problemi sono più di uno.
Innanzitutto c’è mancanza di senso civico: il tessuto sociale ormai da parecchi anni si sta  degenerando. Questo conduce inevitabilmente alla rivisitazione dei valori ed alla deresponsabilizzazione. È sempre colpa di qualcun altro: del capo, del professore che mi ha dato un brutto voto, del vigile che mi ha fatto la multa. Questa tendenza di fondo porta sempre più le persone a cercare scuse anche quando le scuse sono palesemente artificiali.
Poi c’è anche il fatto che la formazione è effettivamente carente. Programmi obsoleti ed una generale staticità della professione, rendono la preparazione dei conducenti italiani inadeguata rispetto a ciò che viene chiesto al giorno d’oggi.  
La didattica è poco cambiata negli ultimi decenni, le istituzioni e le organizzazioni di categoria hanno accentuato questa diffusa tendenza alla staticità con leggi e regolamenti che aumentano il carico di burocrazia, penalizzano la creatività e tendono a rendere un importantissimo lavoro di formazione umana e civile alla stregua un commercio qualsiasi. Risultato: la scuola guida è percepita dal pubblico come un’attività per cui non serve alcuna specializzazione; coloro che la esercitano non sono professionisti ma personaggi presi a prestito che non hanno trovato di meglio da fare nella vita. Nessuno, se accusato di omicidio si rivolgerebbe ad un avvocato dilettante, mentre la stragrande maggioranza del pubblico ha poche esitazioni quando si tratta di fare un’ora di guida con chi dilettante lo è sul serio.
Si è creato un meccanismo vizioso in cui per poter sopravvivere le autoscuole sono costrette a mediare tra la formazione e le esigenze commerciali. Leggi deliranti, come l’obbligo di fornire la “preparazione” per tutte le patenti, retaggio di interessi di parte obsoleti e miopi, non permette agli operatori di specializzarsi ed aggiornarsi. Un istruttore è “costretto”, per un mero interesse di bottega, a seguire sostanzialmente le stesse linee guida per preparare i candidati al conseguimento del C.I.G. così come coloro che devono conseguire la patente per condurre un autotreno. Non fare differenze, vuol dire una pericolosa tendenza alla superficialità. Cioè prezzi bassi ed apparente interesse della clientela. Ma in realtà non è così: quanto costa il carrozziere? Quanto l’assicurazione? E , soprattutto, quanto costa in termini di rischio di lesioni andare in strada senza adeguate conoscenze?
È il trionfo della mediocrità: la qualità ha un prezzo, ma non essendoci convenienza economica nell’offrire un prodotto qualitativo, si preferisce vivacchiare sul presente.
In tempo di crisi, inoltre, l’attenzione delle famiglie per i costi è più spiccata del solito.
Purtroppo il lavoro delle autoscuole è retribuito per quello che vale mediamente: abbastanza poco, il che evidentemente,  non è frutto di casualità o di fattori contingenti, ma di scelte scellerate e mediocri. Come al solito: l’Europa corre e si evolve, l’Italia sta al  palo nella speranza della bacchetta magica.

domenica 14 ottobre 2012

Sentenza storica della Cassazione: condannato a 16 anni. Fu omicidio volontario


I fatti risalgono a luglio 2008: in piena Roma un furgone condotto da un cittadino moldavo senza patente, e che per di più risulterà pure rubato, attraversava con il semaforo rosso e a più di cento chilometri l’ora un incrocio travolgendo un’auto e uccidendo uno degli occupanti, lo studente Rocco Trivigno. Riportavano gravi lesioni anche gli altri due passeggeri del veicolo, la sorella di Rocco, Valentina ed il fidanzato di lei Nicola Telesca, oltre ad una terza persona, Giuseppe Giuffrida che era a bordo di un’altra auto coinvolta nelle carambole dell’incidente.
Il 25 settembre scorso, Vasile Ignatiuc (questo il nome del conducente del furgone rubato) è stato definitivamente condannato a 16 anni di reclusione dalla corte di Cassazione per omicidio volontario.
La sentenza storica, però, non è quella dello scorso settembre, ma quella pronunciata il 1 febbraio 2011, dalla Prima Sezione Penale della Suprema Corte, che stravolgendo il risultato dell'appello rinviava a nuovo giudizio l’Ignatiuc proprio con l'imputazione di omicidio volontario.
In breve: in primo grado l’imputato venne riconosciuto colpevole di omicidio volontario, mentre in appello il reato fu derubricato in omicidio colposo, non ritenendo i giudici  che ci fossero sufficienti elementi per provare dolo nei fatti ascritti a Ignatiuc.
Per gli Ermellini, al contrario, il fatto di attuare coscientemente un comportamento sconsiderato (Ignatiuc fuggiva a folle velocità su un furgone rubato perché inseguito  dalla polizia) è condizione necessaria e sufficiente perché in caso di reato non si parli più di colpa ma di dolo. Ignatiuc venne rinviato a nuovo giudizio e nel settembre scorso la Cassazione ha posto la parola fine alla vicenda processuale con la definitiva condanna dell’imputato a 16 anni di reclusione.
La storicità di questa sentenza sta proprio nel fatto ribalta il concetto di “rischio” nella circolazione stradale: non più fatto marginale in caso di reato, ma  componente significativa nel complesso dell’accettazione delle conseguenze che talune manovre potrebbero avere sulla incolumità degli altri utenti della strada.  E’ peraltro questa una convinzione abbastanza diffusa nella giurisprudenza di paesi certamente più all’avanguardia del nostro in questo settore: l’incidente stradale è colà visto non come un’attenuante (che porta all’odioso concetto che i morti sulla strada sono morti di serie B),  ma come aggravante. Il semplice superamento di una forma mentis arcaica, unita all’applicazione della normativa esistente cancella con un colpo di spugna tutte le ipotesi di introduzione del fantasioso reato di “Omicidio Stradale”. Sarebbe questo un puro atto formale ed un cedimento ad un diffuso sentimento popolare che, giustamente frustrato dalla mancanza di fatto della punizione per chi uccide in auto, vedrebbe nell’introduzione di questo reato uno strumento più efficace di prevenzione e repressione. In realtà, come dimostrato da questa vicenda, la semplice applicazione della legge è più che sufficiente per erogare sanzioni esemplari. L’introduzione dell’Omicidio Stradale aprirebbe solo autostrade alle schermaglie processuali dei difensori degli imputati in un sistema che ha già ampiamente dimostrato di essere ipergarantista. Una semplice rilettura in chiave di buon senso del sano principio della responsabilità dei propri gesti, è stata quindi molto più efficace di fiumi di inchiostro. Rammarica il fatto che ad una simile conclusione sia pervenuta la magistratura e non il potere politico, che in questi anni ha brillato per la sua assenza (tranne rare eccezioni come la normativa sulla patente a punti) e forse ora è troppo impegnato a sopravvivere. 

domenica 23 settembre 2012

In 10 anni multe aumentate di 15 volte


Secondo un’indagine del Centro Studi e Ricerche Sociologiche “Antonella Di Benedetto” di Krls Network of Business Ethics, ripreso peraltro da numerose testate giornalistiche e pubblicato sul sito www.contribuenti.it, in Italia negli ultimi dieci anni il numero di contravvenzioni per violazione delle norme del Codice della Strada sarebbe cresciuto di più del 1500%.
Che il nostro fosse un paese in cui la guida su strada è vissuta con una certa creatività, è un dato di fatto; così come è incontestabile che i concittadini motorizzati lascino piuttosto a desiderare in quanto a preparazione e senso civico.
Verrebbe peraltro da ipotizzare che un così grande aumento delle sanzioni erogate dagli organi di polizia sia compatibile con la spinta verso un maggior senso civico e con gli obiettivi che l’Unione Europea fissava proprio nel 2001: ovvero la riduzione del 50% delle vittime di incidenti stradali.
Basta fare un paragone con i paesi da questo punto virtuosi e più vicini a noi per rendersi conto che di tratta di pura fantascienza.
In Italia nel 2001 sono decedute a seguito di incidenti stradali 7092 persone, nel 2010 4090, con un decremento del 42,4%. I feriti sono passati da 373286 a 302735, con una diminuzione di appena 19 punti percentuali (fonte: dati Aci – Istat sugli incidenti stradali del 2010).
In Francia, nello stesso periodo, i morti sono scesi da 7720 a 3092 con una dimunizione del 49% (dati del Ministero dell’Interno, discordanti con quelli dello studio Aci – Istat, presumibilmente a causa di un aggiustamento degli indici di correzione statistici nel paese transalpino risalente al 2004), mentre i feriti sono passati da 153945 a 84461, con una diminuzione di circa 45 punti percentuali. In compenso, nello stesso periodo, le multe sono aumentate solo del 46%!
Germania, Gran Bretagna e Spagna presentano un andamento del tutto simile.
E’ pertanto un dato di fatto che l’incremento delle sanzioni nostrano non corrisponda ad un miglioramento delle prestazioni dei conducenti.
Ma l’Italia, si sa, è il paese dei furbi. Oltretutto la nostra classe politica, anche a livello locale, non brilla certo per moralità e preparazione. E’ allora lecito sospettare che i comuni utilizzino le sanzioni amministrative solamente allo scopo di fare cassa.  Purtroppo non è dato di sapere quali siano i dati statistici realtivi alle infrazioni al Codice della Strada: semplicemente non esistono.
Fa però riflettere il fatto che decine di amministrazioni comunali abbiano, nell’ordine, creato parcheggi a pagamento dappertutto ed arruolato legioni di ausiliari del traffico, ufficialmente per mettere un freno al fenomeno della sosta selvaggia.
In realtà qui da noi i conducenti si prestano spesso a comportamenti da barzelletta: mentre guidano riescono a telefonare; fumare una stecca di sigarette; litigare con moglie o  marito; messaggiare col fidanzato/a; cambiare in continuazione la stazione radio e compiere mille altre attività che con la guida  non c’entrano molto. Andando poi all’estero, la percezione della nostra impreparazione è evidente. 
Empiricamente è abbastanza difficile ritenere che l’indisciplina degli italiani sia limitata alla semplice mancanza dell’osservazione delle regole relative all sosta, visto il quadro deprimente che ognuno di noi può riscontrare ogni giorno. In realtà in sospetto forte è che le Amministrazioni Comunali abbiano fatto della sosta selvaggia una scusa per fare cassa. Non si spiegherebbe altrimenti lo spaventoso aumento del numero di contestazioni senza peraltro che questo incida sui comportamenti al volante.
Sempre secondo lo stesso studio, solo il 20% delle sanzioni viene pagato. Ciò significa che una gran quantità di esse sfocia nella controversia giudiziaria, andando ad affossare uffici già sommersi da arretrati di proporzioni bibliche e contribuendo oltretutto ad aumentare la litigiosità del paese.
Chi paga il conto di tutto ciò?
Ovviamente il cittadino. In termini economici: si trova appioppata la multa per divieto di sosta quando magari era a pochi passi e poteva spostare il veicolo; ricordiamo che esiste (rebbe) una vasta giurisprudenza legislativa che obbliga gli ufficiali sanzionatori a verbalizzare il più possibile al momento dell’infrazione.
In termini di frustrazione: si trova l’automobilista arrogante ed impenitente che entra allegramente contromano, anche sotto gli occhi degli agenti, ma non viene sanzionato perché è troppo seccante farlo. Questo non contribuisce certo ad avvicinare il cittadino ad istituzioni che paiono sempre più chiuse in una casta tipo “ancien régime”.
Ma soprattutto in termini di sicurezza: i comportamenti realmente pericolosi vengono ignorati in nome di un formalismo ai limiti del grottesco.
Con buona pace di mille promesse ed intenzioni.


martedì 11 settembre 2012

La patente in Italia; la patente in Svizzera


C’è la forma e poi c’è la sostanza.

Nell’ambito della circolazione stradale, la “forma” si può manifestare, per esempio, in tutti quei provvedimenti presi sull’onda di una tensione emotiva o magari “perché reclamati dalla piazza”. Per negligenza o, peggio, per incompetenza, non ci si preoccupa delle conseguenze che certi atti possono causare nell’utenza. Il risultato è che spesso sono inutili, qualche volta addirittura deleteri.

In Italia già non c’è un gran senso civico di base, figuriamoci poi con queste premesse quanto raffinata possa essere la sensibilità in merito alla cultura della sicurezza stradale da parte del comune cittadino.

In molti casi, si ha una visione fortemente distorta di cosa voglia dire realmente condurre un veicolo e quali rischi si corrano.  La patente è inoltre spesso percepita come un documento a cui si ha diritto, più o meno alla stregua della carta di identità.

Invece si tratta di una concessione: nessuno può vantarne la facoltà a priori, il cittadino può legittimamente solo richiedere di essere ammesso agli esami.

Della differenza tra “forma” e “sostanza”, tra “cultura dell’arroganza” e “cultura della sicurezza” ci si rende conto quando capita di leggere di come la patente venga conseguita in paesi che la sicurezza la curano da anni. L’Australia? Gli USA? Paesi che distano “millanta miglia” da noi?

No, purtroppo. Molto più semplicemente si tratta dei nostri vicini di pianerottolo: la Svizzera.

Siamo a dodici chilometri dal confine: solo dodici chilometri, che sono un’inezia rispetto alla distanza siderale che separa il nostro medioevo intellettuale (dal punto di vista della circolazione stradale) dall’Europa consapevole.

Dodici fottutissimi chilometri ed un confine che segna il limite tra due mondi.

Giova ricordare che tra tra gli under trenta, la prima causa di morte è rappresentata proprio dall’incidente stradale, fatto senz’altro noto alla redazione di Sicurauto.it, sito sul quale è apparso qualche giorno fa un interessante articolo sul percorso che un cittadino elvetico deve seguire per conseguire la patente di guida (http://www.sicurauto.it/blog/news/prendere-la-patente-in-svizzera-servono-3-anni-e-sino-a-3300-euro.html).

Sarebbe molto interessante che il testo capitasse tra le mani di tutti quei rampolli e dei loro genitori (categorie entrambe sempre più numerose) preoccupati di girare con il telefonino all’ultima moda o con l’abbigliamento griffato e che, per contrappasso, quando si tratta di patente riescono solo a proferire la regina delle banalità: “costa troppo”.

Un atteggiamento che nasconde una mentalità estremamente italiana: “a me certamente non può succedere nulla perché io sono il re dei piloti”; oppure “la colpa è dei ciclisti” (gli automobilisti), “la colpa è degli automobilisti” (i ciclisti), “la colpa è di automobilisti e di tutti quei coglioni in bicicletta” (i motociclisti).

Ed ovviamente: “io ho diritto alla patente, anzi dovrebbe essere gratis; se vengo bocciato all’esame significa che l’esaminatore non capisce nulla e che l’istruttore non sa fare il suo lavoro”.

La colpa è sempre degli altri, io non posso far nulla. “Chiagnere e fottere”: indice peraltro del livello culturale a cui si è ridotto il paese.

Esagerazioni?

Basta provare a leggere i commenti sui blog che parlano di circolazione stradale per rendersi conto che viviamo in un paese in cui questo modo di pensare è largamente diffuso.

E, cosa grave, chi è tenuto istituzionalmente a prendere decisioni  non è certamente immune da questi convincimenti:  la normativa è infatti talmente contorta che formare un allievo alla guida vuol dire imbarcarsi in una jungla: orpelli burocratici e compromessi a non finire, chili e chili di carta, timbri, certificazioni ed autocertificazioni a iosa, decine di ore spese agli sportelli quando oggi, con un click, si può comprare praticamente qualsiasi cosa (lecita o illecita) in tutto il mondo.

Ovviamente tutto questo c’entra poco con l’educazione e ha molto il sapore stantio ed ammuffito di un archivio polveroso degli anni ’50.

Aprire un’autoscuola poi, è complicato oltre ogni misura: le formalità burocratiche sono infinite, i materiali sono imponenti ed in larghissima parte inutili, il parco veicolare alla stregua di un concessionario. Ciclomotore, almeno un motociclo (meglio due, dal prossimo gennaio tre), autovettura (e se si rompe? meglio due), autocarro (da gennaio due), autobus (idem) e, ovviamente rimorchio. Il tutto in linea teorica perché all’utente la scuola guida deve garantire il conseguimento di qualsiasi patente.

In realtà, serve a limitare la concorrenza.

Un meccanismo kafkiano, una corsa ad ostacoli (per non parlare di quello che deve sopportare un disabile!), che formalmente serve a garantire la massima trasparenza, ed invece crea in chi usufruisce del servizio non la voglia di apprendere, ma la preoccupazione di essere esteticamente corretto senza preoccuparsi delle implicazioni. Ed è purtroppo così  che il meccanismo viene  percepito dalle famiglie.

Le istituzioni continuano a sfornare prevvedimenti che vanno in direzione opposta rispetto alla creazione di una corretta sensibilità: l’ultima nota positiva risale all’introduzione della patente a punti, ormai vecchia di quasi un decennio.

E poi?

Poi tutto è stato annacquato: se prendi una multa puoi legittimemente dichiarare che non eri alla guida tu (ti costa un sovraprezzo ma non subisci decurtazioni); i corsi di recupero punti non prevedono un esame finale; gli esami per il conseguimento del C.I.G (il cosiddetto “patentino” per il motorino) e per la patente A sono troppo semplici; chi fa del male non subisce conseguenze di rilievo (butti sotto un pedone sulle strisce? Sono 160€ di multa e 8 punti) e via di questo passo.

Questa tremenda superficialità si traduce in una “forma mentis” atroce: i morti ammazzati su strada sono morti di serie B.

E, per reazione, c’è sempre chi pensa di risolvere tutto invocando il capestro, magari con l’ introduzione del reato di “omicidio stradale”, utile solo ad ingarbugliare meglio la situazione.

O si strilla ad una maggiore preparazione (senza costi aggiuntivi, ovviamente), ne è una prova la recente perla delle sei ore di guida obbligatorie.

Formalmente: sei ore sono quelle obbligatorie, poi ci sono quelle propedeutiche.

Percepito in sostanza: la legge dice che in sei ore si impara a guidare.

In realtà la cultura della sicurezza si crea nel corso del tempo. In Svizzera è da decenni che il problema – strada è all’ordine del giorno nel dibattito istituzionale.  Solo investendo tempo, energie, risorse si possono creare le condizioni  affinché la sensibilità delle persone evolva. E solo quando c’è la giusta sensibilità i provvedimenti hanno la loro efficacia.

Non si può importare qui da noi il “modello svizzero” perché proprio per la mancanza di una piattaforma culturale opportuna, risulterebbe inefficace.

La bacchetta magica esiste solo nelle favole, la realtà è fatta di approfondimenti e di duro lavoro .

domenica 19 agosto 2012

Nella terra di confine


Cosa separa il genio dalla follia, la santità dall’eresia?

Sono aspetti dell’essere molto vicini tra di loro, in cui è difficile trovare una linea di demarcazione netta. Molto spesso il confine è arbitrario, posizionato là dove indicato dalla convenienza arbitraria o da interessi momentanei.

Cosa sarebbe successo se Innocenzo III non avesse superato le iniziali titubanze verso quel tale Francesco di Assisi in odor di santità ma anche di eresia?

In realtà non si tratta di un confine vero e e proprio, ma di una “zona grigia” i cui contorni tendono a sfumarsi in una nebbia indistinta di sensazioni. E’ in questa zona di confine che il genio ed il folle, il santo e l’eretico si incontrano e si parlano, spesso intendendosi e creando.

Coloro che hanno il coraggio di esplorare la “zona grigia” sono spesso etichettati come “visionari”, ma spesso è proprio la “visione” che crea la condizione per esprimere un capolavoro.

Brunelleschi è un genio: ha formalizzato la prospettiva in pittura, ha progettato e realizzato opere monumentali con tecniche di avanguardia, ha ripreso elementi architettonici classici come l’arco a tutto sesto. Ma non è un visionario.

Al contrario di Michelangelo: oltre ad essere un genio, ha attinto a piene mani dalla “zona grigia” e ciò gli ha permesso di creare un ciclo di affreschi come quello della Cappella Sistina. Non vi è solo “genio” e “tecnica”,  nella Cappella Sistina si respira anche molto Pathos (“sofferenza” o “emozione”? o una miscela tra le due); in Brunelleschi, al contrario, prevale il Logos, per dirla come i Greci.

Michelangelo non è il solo: la tensione verso il fantastico, il sogno, i contorni sfumati spesso riesce a fare la differenza.

Gli endecasillabi di Dante si trasformano ne “La Commedia”; i tratti di pennello di Hyeronimus Bosch o di Dalì in capolavori di straordinario spessore emotivo; la vita di persone come Madre Teresa di Calcutta, che ha impregnato col sorriso un’esistenza intera ritenendo normale seguire un progetto di fronte al quale quasi chiunque non avrebbe superato la prefazione, diventa assolutamente straordinaria agli occhi del mondo.

Anche il fascino di discipline come le Arti Marziali è legato all’esplorazione della zona di confine.

Ma nelle Arti di Combattimento il riferimento è più immediato e drammatico. Il praticante, se vuole veramente entrare nello spirito della disciplina, è costretto a confrontarsi ogni volta che decide di combattere (anche per semplice allenamento) con quella “zona grigia” tra la vita e la morte in cui il gesto, o l’assenza del gesto, possono significare varcare una delle due frontiere. Ed una volta oltrepassato il confine, non c’è ritorno!

Senza questa tensione, non si può parlare di “Do”, ma di un allenamento ridotto ad essere una serie stereotipata di movimenti senz’anima.

Molti passaggi storici ed artistici sono stati operati proprio da uomini che hanno avuto il coraggio di percorrere le “zone grigie” a cavallo tra due estremi contrapposti, magari rischiando di rimanere intrappolati per sempre in un limbo (e chissà quanti sconosciuti ci sono caduti) e che avevano magari grande ambizione ma soprattutto una straordinaria sete di conoscenza.   


sabato 7 luglio 2012

Chiedi chi era Bill Congdon


Uno che nasce il 15 aprile 1912 ha il destino segnato.

Mentre il Titanic affondava nelle gelide acque dell’Atlantico, da qualche parte nel Rhode Island, lungo la stessa costa, veniva alla luce uno tra gli artisti più poliedrici e geniali del ventesimo secolo.

Definire William (Bill) Congdon solo “pittore” è assolutamente limitativo. Congdon è un personaggio che attraverso il colore, gli elementi della natura, gli oggetti ed uno straordinario travaglio personale ha trasmesso e continua a trasmettere emozioni dirompenti.

Il suo rapporto con l’Italia inizia durante la seconda guerra mondiale, quando Congdon, arruolato nell’American Field Service percorre le strade del nostro paese devastato dal conflitto prima di imbattersi nell’orrore di Bergen Belsen.

Alla fine della guerra ritorna in patria, a New York, dove inizia ad esporre con i pittori della nascente Action Painting. Si parla della Betty Parsons Gallery e di artisti del calibro di  Jackson Pollock o Franz Kline.

Ben presto la Grande Mela col suo miscuglio di visioni estreme (straordinaria ricchezza e povertà; straordinaria sensibilità e violenza) smette di intrigare Congdon, che si trasferisce per la prima volta in Italia, A Venezia.

Sono gli anni ’50.  Congdon ricerca nell’arte uno scopo della vita, ma per quanti sforzi conduca in tal senso, continua a sentire che gli manca la pace. La troverà solo nel 1959, anno in cui si convertirà al cattolicesimo e sarà battezzato ad Assisi.

Da allora in poi tutta la sua arte verrà messa al servizio dell’idea di Cristo. L’ultima tappa del suo viaggio terreno si chiama Cascinazza, monastero benedettino nei pressi di Buccinasco (Mi), dove Congdon approdò nel 1979.

Si spegne nel giorno dell’86 compleanno.

Congdon è un genio. La sua arte esprime una visione della natura e della vita che si completa solo nell’abbraccio col divino. È terra, colore, fuoco, legno, morte, vita. È pennello e spatola. Trasmette un senso di tumulto; un’onda che cresce fino ad abbattersi sulla costa travolgendo tutto quello che trova e generando le condizioni per la rinascita. Che è umana e spirituale. O meglio è umana trascendente nella spiritualità: solo attraverso l’abbraccio con il Cristo è possibile completarsi come uomini, avere quella pienezza che è all’origine della pace interiore. Congdon trascorse gli ultimi anni affossato nella bassa milanese. Un luogo che in inverno  è pieno di poesia (ma anche di nebbia) e nella bella stagione trasmette un senso di pace e di tranquillità. È un posto perso nel tempo. Ti potresti immaginare di vedere da un momento all’altro i contadini con i carri carichi delle loro masserizie che si trasferiscono, nel giorno di San Martino, da un campo all’altro, da un padrone all’altro. Oppure mentre raccolgono il mais o oziano pigramente nelle giornate di mezza estate.

Congdon è riuscito a scassare con il colore la monotonia di questo paesaggio bucolico trasformandolo in qualcosa di vivo e pulsante. I campi, la terra grassa di Lombardia, il granoturco, i monaci, tutto si trasfigura in un’immensa opera di modifica del paesaggio, antropizzato dagli uomini che vi risiedono e che trasforma gli abitanti.

Ebbi la fortuna ed il privilegio di incontrare Congdon pochi mesi prima che morisse. Mi trovai di fronte ad un uomo dal fisico ormai indebolito, ma con uno sguardo intenso come la profondità della campagna che aveva segnato il suo ultimo rifugio. Chiacchierammo di arte, di percorsi spirituali, di Samurai. Mi fece vedere i lavori che stava ultimando. E che purtroppo non videro mai la luce.

Le opere di Congdon sono esposte nei più importanti musei del mondo: dal Metropolitan di New York al Museum of Fine Arts di Boston; dalla Phillips Collection di Washington alla Peggy Guggenheim  Collection di Venezia, solo per citarne alcuni.

domenica 10 giugno 2012

Al via il primo Minicorso di guida sicura per neopatentati


Nell’ambito del metodo formativo “Ready2Go”, in collaborazione con l’AC Varese, l’8 giugno scorso si è tenuto nel capoluogo insubre il primo minicorso di guida sicura per allievi ed ex allievi.
E’ stata un’occasione per dare un piccolo assaggio ad un pubblico giovane ed inesperto riguardo a cosa potrebbe succedere in alcune circostanze (peraltro relative ad un uso comune dell’auto) nelle quali il controllo del veicolo inizia ad essere problematico.
In genere nei programmi di formazione dei nuovi conducenti non si tiene nel dovuto conto il fatto che il conseguimento della patente è solo il primo scalino: lungi dall’essere degli esperti, i neopatentati in genere hanno solo le minime conoscenze di base per cavarsela in circostanze ordinarie. In genere questo fatto è associato ad un’eccessiva fiducia nei propri mezzi ed alla spavalderia tipica della giovinezza.
In situazioni nelle quali il veicolo tende anche solo parzialmente ad uscire dia criteri di gestione ordinaria, un neopatentato rischia seriamente il panico e la reazione sbagliata.
Lo scopo del minicorso è quindi quello di rendere più responsabili i giovani alla guida, un valore aggiunto che può fare la differenza in termini di prevenzione.

domenica 29 aprile 2012

Nasce il Manifesto "salvaciclisti"


Da qualche tempo si è diffusa su internet un’iniziativa denominata “salvaciclisti” che ha raccolto attorno a se un movimento di opinione e parecchie adesioni.
E’ certamente interessante ed utile. Interessante perché pone questioni relative all'educazione stradale (ambito nel quale in Italia si difetta parecchio) ed utile perché dà spunto ad una serie di riflessioni.
Il movimento si è originato in Gran Bretagna, paese nel quale il problema dell'educazione stradale è particolarmente seguito (basta digitare sul sito di youtube "road safety advert" per rendersene conto). Gli inglesi da più di venti anni sono bombardati da informazioni che hanno creato in loro una reale coscienza civile nei riguardi della circolazione stradale (ci sono spot informativi, anche abbastanza crudi, persino per dissuadere i pedoni dall'uso di cellulari ed altre apparecchiature).
I dubbi sorgono dal fatto che qui da noi la sensibilità al problema è sotto le suole.
In realtà, è l'italiano medio che come utilizzatore della strada (un bene pubblico) lascia molto a desiderare. Si fa molta fatica a credere che un automobilista scorretto diventi un pedone ed un ciclista immacolato. Se manca al cittadino la coscienza civile di cosa significhi l'uso della strada, manca a prescindere da come la strada venga utilizzata. Alcuni dei punti del manifesto "salvaciclisti" sono peraltro già superati in parte dai fatti.
Ad esempio il punto 1:"Gli autoarticolati che entrano in un centro urbano devono, per legge, essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza che evitino ai ciclisti di finire sotto le ruote."
A parte il fatto che molte città (ad esempio Milano) sono già off limits per i veicoli pesanti, il Codice della Strada già prevede che i camion debbano essere dotati di barre paraincastro.
Chi vuole, provi a rispondere a questa domanda: "cosa è il punto cieco?"
La risposta e l'adeguamento del comportamento valgono in termini di prevenzione molto di più di qualsiasi diavoleria elettronica.
Punto 3: "Dovrà essere condotta un’indagine nazionale per determinare quante persone vanno in bicicletta in Italia e quanti ciclisti vengono uccisi o feriti."
Le statistiche esistono già (sono statistiche ISTAT e si trovano sul sito dell'ACI).
Punto 6: " 30 km/h deve essere il limite di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili. In reatà esiste in moltissime zone residenziali il limite a 30 km/h. Ma noi siamo molto bravi a confondere le prescrizioni con i consigli. Cosicché ci devono essere anche i rallentatori (i cosiddetti "dossi artificiali" per costringere gli automobilisti a rallenatre).
Il problema è la creazione di una reale sensibilità al problema, senza la quale qualsiasi "salvaciclisti" risulta incompleto. Non si hanno notizie di movimenti di protesta civile perché in Italia conseguire la patente di guida è una passeggiata. Oppure di associazioni di ciclisti e cicloamatori impegnate nel confronto e nella formazione dei loro associati.
Parlare solo genericamente di “piste ciclabili” e di “mobilità sostenibile” senza creare le condizioni affinché tutto ciò sia efficace dal punto di vista della prevenzione degli incidenti, è un po’ come costruire una casa partendo dal tetto.
Tra discussioni, dibattiti, proposte di legge più o meno fantasiose, la sicurezza stradale è relegata a stereotipi e mode. Invece proprio dall’esempio di paesi come Gran Bretagna ed Olanda, si dovrebbe trarre l’unica lezione possibile: la cultura della sicurezza si crea nel tempo; molto attraverso l’informazione e la prevenzione e poco attraverso gli annunci strillati, peraltro dimenticati dopo poche ore.
Chi si ricorda della proposta di legge sull’omicidio stradale, urlata fino all’inizio di marzo e poi dimenticata?
Ma nel frattempo, sulle strade, si continua a morire. Ed al ritmo di circa 10 vittime al giorno, dall’ultima volta che si è nominato l’omicidio stradale (circa 50 giorni fa), si fa presto a fare i conti di quanti ci hanno lasciato la pelle!

sabato 10 marzo 2012

Perché il reato di omicidio stradale è inutile.

Ultimamente il reato di omicidio stradale sembra tornato di moda.
E’ infatti giacente in Parlamento una proposta trasversale per la sua isituzione. Secondo i relatori questa legge avrebbe un triplice scopo: normare in maniera precisa il reato di omicidio in conseguenza di atti relativi alla circolazione stradale, frenare comportamenti sciagurati da parte dei conducenti e garantire pene certe ai colpevoli.
L’attuale normativa prevede già il reato di omicidio colposo in conseguenza di atti derivanti da circolazione automobilistica (art. 589 del Codice Penale); nel nostro ordinamento vi è inoltre l’omicidio preterintenzionale (art 584), caso nel quale potrebbero benissimo rientrare i comportamenti più gravi relativi alla circolazione stradale.
L' omicidio  nel nostro ordinamento è pertanto già sufficientemente disciplinato. Inoltre, al momento, la difficoltà di arrivare a giudizio relativamente a qualsiasi reato penale, richiederebbe tutto meno che ulteriori complicazioni. E’ presumibile che in caso di imputazione relativa a fatti inerenti alla circolazione stradale, si aprirebbero autostrade per le schermaglie legali, con conseguente allungamento dei tempi per arrivare a sentenza.
Il problema dell’incidentalità stradale va cercato altrove e risolto con metodi diversi dal codice penale.
Secondo le statistiche dell’ACI, più del 90% degli incidenti stradali gravi è dovuto ad un errore di almeno uno dei conducenti.  Appare evidente che il primo modo per limitare il numero di sinistri è quello di rendere più preparati e coscienti i conducenti.
Nel corso degli ultimi dieci anni il numero delle vittime della strada è diminuito di più del 40%, gli incidenti invece sono calati di circa il 20%. Il che porta a concludere che, se si muore e ci si fa meno male in auto, ciò è dovuto molto alle migliorie tecniche dei veicoli e meno alla preparazione dei conducenti.  L’esame di guida è ancora troppo formale, la patente A si consegue in modo eccessivamente semplice, la formazione è spesso vista, anche da parte delle famiglie, come poco più di una scocciatura.
La stragrande maggioranza dei conducenti frequenta un solo corso di formazione alla guida in tutta la propria vita e questo si traduce in una generale superficialità nell’affrontare i problemi relativi alla circolazione.
In Italia inoltre si sente molto la mancanza di una cultura della sicurezza. Contrariamente ad altri paesi (Svizzera, Francia e soprattutto Inghilterra), nei quali ormai da decenni si fa molta prevenzione, da noi sembra che si preferisca una linea più  orientata sulla repressione. Puntare sull’informazione e sulla prevenzione ha contribuito a rendere  i conducenti più consapevoli e maggiormente responsabili. Inoltre in quei paesi il reato commesso alla guida è considerato in genere un’aggravante. Da noi, al contrario, generalmente si ritiene un’attenuante.
Arrivare pertanto ad una condanna definitiva (operazione già complicata da un sistema eccessivamente garantista) che comporti anche una punizione adeguata è praticamente impossibile. Con buona pace della certezza della pena.
L’introduzione di una ulteriore forma specifica di omicidio relativamente alla circolazione stradale appare  solamente una complicazione, utile magari ad assopire le coscienze e a dare uno sfogo al legittimo desiderio delle vittime di vedere puniti i responsabili, ma certamente assolutamente irrilevante ai fini degli obiettivi che il legislatore si è proposto.

mercoledì 29 febbraio 2012

Il mondo è fatto di storie.

Guarda attraverso il vetro della tua finestra, scopri un universo di vita.
“Chi è quello lì?”
“E’ un polziotto?”
“Forse, me se è un poliziotto potrebbe essere impazzito!”
“Allora è un poliziotto pazzo?”
“Forse, ma se fosse un poliziotto pazzo, cosa lo avrà fatto impazzire?”
“Bella domanda! Pensa: questo poliziotto, fino a ieri, aveva una vita normale. Il turno di lavoro, la famiglia, gli amici, qualche hobby. Cosa può averlo reso pazzo? Un eccesso di gioia o un grande dolore? Certamente un’emozione forte! Quest’uomo potrebbe aver scoperto oggi che la moglie attende il figlio così a lungo desiderato e, fuori di sé dalla gioia, dà la caccia ai piccioni. Stasera, qui, sul ponte vicino al fiume!”
“E’ possibile?”
“Bella domanda! Guarda se dietro di lui trovi i suoi colleghi! Ci sono?”
“Si!”
“Allora è possibile. I suoi colleghi cercano di dissuaderlo dallo sparare ai piccioni: qualcuno si potrebbe far male! O no? Forse quest’uomo è impazzito dal dolore perché la moglie ha perso il figlio tanto desiderato”
“E allora che ci fanno i colleghi!”
“Bella Domanda! Forse cercano di ridurlo alla ragione. Ma sono attenti: perché se uno è impazzito dal dolore ed è pure armato impiega un secondo a fare un casino. E allora sono dolori! Guarda i colleghi: ridono? Sono spaventati? Guarda le loro espressioni.”
“Ma come mai uno sceglie di fare il poliziotto?”
“Bella domanda: forse perché viene da un paese del sud dove o fai il poliziotto o fai il delinquente!”
“Si, ma lui, proprio lui che spara ai piccioni viene dal sud?”
“Bella domanda. Bisognerebbe come minimo sentirlo parlare per capire l’inflessione.”
“Ma se per caso venisse dal nord, perché fa il poliziotto?”
“Bella domanda; al nord si può fare anche altro! Gran bella domanda! Ascolta: lo senti? Riesci a percepire quello che dice? No? E ma allora questa è sfiga! Eh già: se non si può sentire da dove viene, come possiamo indovinare perché è diventato un poliziotto, quel poliziotto che spara ai piccioni! C’è bisogno di un altro elemento. Guarda: è giovane? Quanti anni può avere. Ma guarda là!!! Porta una catena col crocefisso.”
“Ma allora è chiaro: viene dal Sud!”
“Stai attento a dove guardi: tu non stai osservando il poliziotto che spara ai piccioni,  ma il suo collega. Come si può ricostruire la storia del poliziotto che spara ai piccionise osservi il collega!”
“Porca miseria, è vero: ma anche lui ha una sua storia!”
“La cosa si complica: abbiamo due poliziotti. Uno forse è impazzito e spara ai piccioni: noi non sappiamo perché lo fa (certamente per lui oggi è stata una giornata di forti emozioni), né perché è diventato poliziotto. E poi c’è il collega: sui trent’anni con una catena e crocefisso al collo. Viene certamente dal Sud.
“Ma se così fosse, vorrebbe dire che tutte le catene con crocefisso si vendono al sud!”
“Bella domanda: non si spiega allora perché il fidanzato di mia cugina, torinese purosangue, ne possiede una!”
“Guarda bene: i lineamenti del collega del poliziotto che spara ai piccioni sono settentrionali”:
“Occhio: stiamo perdendo di vista il problema: perché il poliziotto che spara ai piccioni è impazzito? Guarda!”
“Ma sei proprio sicuro che stia sparando ai piccioni?”                                                                       
“Bella domanda. Dalla tua finestra non si vede: lui spara e i piccioni scappano!”
“Mi sporgo un po’ di lato … Cacchio!!! Ma quella non è una pistola vera; è una scacciacani! Ne ha una uguale il mio vicino”
“Ma allora il poliziotto non è impazzito e i suoi colleghi fanno per finta!!”
“E’ così?”
“Bella domanda. Ma questa potrebbe essere un’altra storia.”
“E come finisce quest’altra storia?”
“Bella domanda; cazzo che bella domanda!!”

venerdì 6 gennaio 2012

Dal prossimo aprile sarà finalmente in vigore la guida accompagnata

La recente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo, rende effettiva la possibilità della cosiddetta “guida accompagnata” per i minorenni.
In realtà la norma sarà attuabile in pratica solo a partire dal 22 aprile prossimo, così come previsto nel decreto del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti. Il testo completo del decreto è consultabile sul sito del Ministero dell’Interno all’indirizzo:  www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/servizi/legislazione/codice_strada/0986_2011_12_28_DM11112011_n213.html.
La possibilità di prendere confidenza con le autovetture anche prima di essere giunti alla maggiore età, verrà offerta a tutti i diciassettenni già in possesso della patente A1. Con le nuove normative europee relative al conseguimento delle patenti (e che da noi saranno effettive a partire dal gennaio 2013), sorgerà il problema di come comportarsi nei confronti di che sarà in possesso delle nuove categorie introdotte (la patente AM e la patente B1). È probabile che si valuterà la possibilità di estendere la “guida accompagnata” anche ai conducenti in possesso delle summenzionate autorizzazioni.
Al momento, comunque, i requisiti richiesti sono quelli appena indicati. Previa presentazione di una specifica domanda agli uffici della Motorizzazione civile nella quale è peraltro obbligatorio indicare il tutore, il candidato potrà accedere ad un corso propedeutico presso un’Autoscuola della durata di 10 ore, regolarmente annotate su uno specifico libretto.
Il tutore sarà responsabile della guida del minore al di fuori delle ore obbligatorie da frequentare in autoscuola e dovrà essere in possesso di una patente normaledi categoria B o superiore da almeno 10 anni. Chi fosse in possesso della patente speciale non potrà pertanto esercitare il tutoraggio alla guida.
Inoltre, proprio per il fatto che alla guida del veicolo ci sarà un minore, non sarà possibile il trasporto di ulteriori passeggeri, a parte ovviamente l’istruttore di guida o il facente funzione.
In ogni caso, al compimento del diciottesimo anno di età, il tutoraggio scadrà naturalmente e l’allievo dovrà sostenere l’esame di guida.

Il 63% dei bambini non utilizza il seggiolino in auto

Secondo un’inchiesta pubblicata sul sito www.sicurauto.it, (http://www.sicurauto.it/news/bambini-in-auto-il-60-viaggia-senza-seggiolino.html) questa sarebbe la percentuale di bambini che quando è in automobile viaggia senza rispettare la normativa.
Il dato è indice di un comportamento largamente diffuso tra i genitori italiani, i quali evidentemente preferiscono affidarsi ad altri sistemi per la salvaguardia dei loro figli in auto.
In realtà è ormai accertatto che i sistemi di ritenuta siano fondamentali per la salvaguardia dell’incolumità di conducente e passeggeri di qualsiasi età a bordo di veicoli a motore. Quello che più preoccupa è la superficialità con la quale il problema viene affrontato dai genitori, cioè da coloro i quali dovrebbero avere a cura la salute dei propri figli.
Spesso nelle auto italiane capita di trovare bambini liberi di scorrazzare sui posti posteriori (magari in auto dotate di 4 portiere) o, peggio ancora, tenute in braccio dai genitori sui posti anteriori.
È bene ricordare che, in caso di incidente, un bambino non allacciato rischia di impattare contro i sedili o addirittura contro il parabrezza con rischi enormi di lesioni. Quasto vale a maggior ragione per i pargoli tenuti da un adulto: in caso di incidente la reazione istintiva è quella di stringere la presa sul bambino per poi mollarlo bruscamente a causa del contraccolpo.
È meglio che un piccolo pianga per qualche minuto che un genitore per tutta la vita!