Conobbi Rosario circa dieci
anni fa.
Era insieme a me in crociera
sul Nilo.
Rosario era un uomo
piuttosto giovane, piccolo di statura e molto magro. Aveva i capelli lisci e
neri, come gli occhi, ed un paio di baffetti che avresti potuto cancellare con la
gomma. Mi colpivano la sua allegria ed il suo universo di uomo di mare, così
lontani dai miei standard di cittadino della metropoli. Rosario era di
Lampedusa; “là dove sgli scogli sembrano chiedere scusa al mare prima di
immergersi” era solito dire.
Non so bene che tipo di
attività svolgesse, so solo che lavorava a Roma. Malgrado la vita in città, il suo
sguardo sembrava costantemente perso nelle profondità del mare. Chiacchieravamo
spesso insieme: lui figlio di pescatori
ed io figlio del cemento ci raccontavamo la nostra storia. Era piacevole
sentire il caldo dell’Egitto smorzato dal soffio della brezza prodotta dalla
navigazione ed ascoltare nel frattempo Rosario che raccontava, ridendo
divertito, decine di storie sorseggiando una birra dietro l’altra.
Il giorno in cui accadde il
fattaccio Rosario non si sentiva bene e si era chiuso nella sua cabina.
Avvenne tutto molto in
fretta: la nave urtò uno scoglio, si piegò su un lato e iniziò a imbarcare
acqua.
Arrivai alla cabina di
Rosario giusto in tempo. Riuscii ad aprirla e lo tirai fuori di peso. Lo
trascinai letteralmente fino al ponte, da dove ci lanciammo il più lontano
possibile per non essere risucchiati dalla nave che affondava. Quando giunsi a
riva Rosario era svenuto e tremava dal freddo.
Riprese conoscenza in una
stanza d’ospedale. Mi guardò e sussurrò:
“Sei bravo. Ti ringrazio molto. Vedrai che un giorno riuscirò a sdebitarmi”.
Fu l’ultima volta che lo vidi.
Tornai in Italia che lui era ancora ricoverato.
Quando l’anno scorso mi
recai a Lampedusa, il Nilo, Rosario e la nostra brutta avventura erano solo
immagini lontane. Ormai avevo qualche capello bianco e anche alcune piccole rughe.
Stavo con una brava ragazza molto dolce che mi concedeva, vecchio vezzo, di
fare da solo parte delle mie vacanze.
Quel giorno ero in
immersione a circa 20 metri da solo. Avevo una certa esperienza di subacquea e
mi era già successo di scendere in solitudine. Volli fare troppo. Entrai in una
caverna molto piccola e mi accorsi di
non poter più uscire. Provai a districarmi per qualche interminabile minuto ma,
col panico montante, riuscii a fare più danno che utile. Ad un certo punto
sentii delle mani che dolcemente lavoravano alle mie spalle. Appena mi fu
possibile mi liberai da quella terribile prigione e scorsi un uomo che mi stava
aiutando a riguadagnare la superficie. Arrivai sulla spiaggia distrutto ed
impaurito, mi tolsi l’ingombrante fardello mentre anche il mio salvatore faceva altrettanto.
Si girò.
Rosario!! Era esattamente
uguale a come me lo ricordavo: né un capello bianco né una ruga. Mentra mi
sorrideva mi disse: “hai visto? Adesso siamo pari”.
Svenni sopraffatto dall’emozione.
Quando rinvenni, di Rosario
nessuna traccia.
Il sole stava calando ed io
ero stranamente riposato. Raccolsi le mie cose e tornai all’auto con mille
pensieri in testa. Il giorno dopo mi mossi subito alla ricerca di Rosario.
Chiesi ai pescatori, guardai nella rubrica del telefono: tutto vano.
Fu un vecchio che mi
condusse a lui: me lo trovai finalmente di fronte.
Da una lapide di marmo
bianca, vecchia di quasi sei anni, Rosario mi guardava attraverso una
fotografia in bianco e nero. Mi parve persino di vederlo sorridere.