sabato 7 luglio 2012

Chiedi chi era Bill Congdon


Uno che nasce il 15 aprile 1912 ha il destino segnato.

Mentre il Titanic affondava nelle gelide acque dell’Atlantico, da qualche parte nel Rhode Island, lungo la stessa costa, veniva alla luce uno tra gli artisti più poliedrici e geniali del ventesimo secolo.

Definire William (Bill) Congdon solo “pittore” è assolutamente limitativo. Congdon è un personaggio che attraverso il colore, gli elementi della natura, gli oggetti ed uno straordinario travaglio personale ha trasmesso e continua a trasmettere emozioni dirompenti.

Il suo rapporto con l’Italia inizia durante la seconda guerra mondiale, quando Congdon, arruolato nell’American Field Service percorre le strade del nostro paese devastato dal conflitto prima di imbattersi nell’orrore di Bergen Belsen.

Alla fine della guerra ritorna in patria, a New York, dove inizia ad esporre con i pittori della nascente Action Painting. Si parla della Betty Parsons Gallery e di artisti del calibro di  Jackson Pollock o Franz Kline.

Ben presto la Grande Mela col suo miscuglio di visioni estreme (straordinaria ricchezza e povertà; straordinaria sensibilità e violenza) smette di intrigare Congdon, che si trasferisce per la prima volta in Italia, A Venezia.

Sono gli anni ’50.  Congdon ricerca nell’arte uno scopo della vita, ma per quanti sforzi conduca in tal senso, continua a sentire che gli manca la pace. La troverà solo nel 1959, anno in cui si convertirà al cattolicesimo e sarà battezzato ad Assisi.

Da allora in poi tutta la sua arte verrà messa al servizio dell’idea di Cristo. L’ultima tappa del suo viaggio terreno si chiama Cascinazza, monastero benedettino nei pressi di Buccinasco (Mi), dove Congdon approdò nel 1979.

Si spegne nel giorno dell’86 compleanno.

Congdon è un genio. La sua arte esprime una visione della natura e della vita che si completa solo nell’abbraccio col divino. È terra, colore, fuoco, legno, morte, vita. È pennello e spatola. Trasmette un senso di tumulto; un’onda che cresce fino ad abbattersi sulla costa travolgendo tutto quello che trova e generando le condizioni per la rinascita. Che è umana e spirituale. O meglio è umana trascendente nella spiritualità: solo attraverso l’abbraccio con il Cristo è possibile completarsi come uomini, avere quella pienezza che è all’origine della pace interiore. Congdon trascorse gli ultimi anni affossato nella bassa milanese. Un luogo che in inverno  è pieno di poesia (ma anche di nebbia) e nella bella stagione trasmette un senso di pace e di tranquillità. È un posto perso nel tempo. Ti potresti immaginare di vedere da un momento all’altro i contadini con i carri carichi delle loro masserizie che si trasferiscono, nel giorno di San Martino, da un campo all’altro, da un padrone all’altro. Oppure mentre raccolgono il mais o oziano pigramente nelle giornate di mezza estate.

Congdon è riuscito a scassare con il colore la monotonia di questo paesaggio bucolico trasformandolo in qualcosa di vivo e pulsante. I campi, la terra grassa di Lombardia, il granoturco, i monaci, tutto si trasfigura in un’immensa opera di modifica del paesaggio, antropizzato dagli uomini che vi risiedono e che trasforma gli abitanti.

Ebbi la fortuna ed il privilegio di incontrare Congdon pochi mesi prima che morisse. Mi trovai di fronte ad un uomo dal fisico ormai indebolito, ma con uno sguardo intenso come la profondità della campagna che aveva segnato il suo ultimo rifugio. Chiacchierammo di arte, di percorsi spirituali, di Samurai. Mi fece vedere i lavori che stava ultimando. E che purtroppo non videro mai la luce.

Le opere di Congdon sono esposte nei più importanti musei del mondo: dal Metropolitan di New York al Museum of Fine Arts di Boston; dalla Phillips Collection di Washington alla Peggy Guggenheim  Collection di Venezia, solo per citarne alcuni.