Cosa
separa il genio dalla follia, la santità dall’eresia?
Sono
aspetti dell’essere molto vicini tra di loro, in cui è difficile trovare una
linea di demarcazione netta. Molto spesso il confine è arbitrario, posizionato
là dove indicato dalla convenienza arbitraria o da interessi momentanei.
Cosa
sarebbe successo se Innocenzo III non avesse superato le iniziali titubanze
verso quel tale Francesco di Assisi in odor di santità ma anche di eresia?
In
realtà non si tratta di un confine vero e e proprio, ma di una “zona grigia” i cui
contorni tendono a sfumarsi in una nebbia indistinta di sensazioni. E’ in
questa zona di confine che il genio ed il folle, il santo e l’eretico si
incontrano e si parlano, spesso intendendosi e creando.
Coloro
che hanno il coraggio di esplorare la “zona grigia” sono spesso etichettati
come “visionari”, ma spesso è proprio la “visione” che crea la condizione per
esprimere un capolavoro.
Brunelleschi
è un genio: ha formalizzato la prospettiva in pittura, ha progettato e realizzato
opere monumentali con tecniche di avanguardia, ha ripreso elementi
architettonici classici come l’arco a tutto sesto. Ma non è un visionario.
Al
contrario di Michelangelo: oltre ad essere un genio, ha attinto a piene mani
dalla “zona grigia” e ciò gli ha permesso di creare un ciclo di affreschi come
quello della Cappella Sistina. Non vi è solo “genio” e “tecnica”, nella Cappella Sistina si respira anche molto Pathos
(“sofferenza” o “emozione”? o una miscela tra le due); in Brunelleschi, al
contrario, prevale il Logos, per dirla come i Greci.
Michelangelo
non è il solo: la tensione verso il fantastico, il sogno, i contorni sfumati spesso
riesce a fare la differenza.
Gli
endecasillabi di Dante si trasformano ne “La Commedia”; i tratti di pennello di
Hyeronimus Bosch o di Dalì in capolavori di straordinario spessore emotivo; la
vita di persone come Madre Teresa di Calcutta, che ha impregnato col sorriso un’esistenza
intera ritenendo normale seguire un progetto di fronte al quale quasi chiunque
non avrebbe superato la prefazione, diventa assolutamente straordinaria agli
occhi del mondo.
Anche
il fascino di discipline come le Arti Marziali è legato all’esplorazione della
zona di confine.
Ma
nelle Arti di Combattimento il riferimento è più immediato e drammatico. Il
praticante, se vuole veramente entrare nello spirito della disciplina, è
costretto a confrontarsi ogni volta che decide di combattere (anche per
semplice allenamento) con quella “zona grigia” tra la vita e la morte in cui il
gesto, o l’assenza del gesto, possono significare varcare una delle due
frontiere. Ed una volta oltrepassato il confine, non c’è ritorno!
Senza
questa tensione, non si può parlare di “Do”, ma di un allenamento ridotto ad
essere una serie stereotipata di movimenti senz’anima.
Molti
passaggi storici ed artistici sono stati operati proprio da uomini che hanno
avuto il coraggio di percorrere le “zone grigie” a cavallo tra due estremi
contrapposti, magari rischiando di rimanere intrappolati per sempre in un limbo
(e chissà quanti sconosciuti ci sono caduti) e che avevano magari grande
ambizione ma soprattutto una straordinaria sete di conoscenza.