Da qualche tempo, complici
due sentenze dei Tribunali di Roma e Bologna, si è aperto un dibattito, spinoso
quanto discutibile nei contenuti, riguardante la possibilità di adozione da
parte di famiglie non tradizionali.
Spinoso perché coinvolge una
fascia di minori particolarmente disagiati, discutibile perché non sempre chi
parla dimostra di conoscere la realtà dell’adozione.
In merito alle sentenze
citate, sono stati accolte dai Tribunali le istanze relative a due casi di
adozione speciale in base all’articolo 44 della legge 184/83 e riguardanti una
coppia omosessuale che già ospitava il figlio biologico di una delle due
partner (il caso di Roma) ed il riconoscimento in Italia di un’adozione portata
a termine negli Stati Uniti da parte di una nostra concittadina single (quello
di Bologna).
In realtà le due sentenze sono
un concentrato di logica e buon senso: nel caso della coppia di Roma (peraltro
sposata in Spagna), si è appurato che tra la madre non biologica e la bimba si
è creato un forte legame affettivo, tale da indurre il giudice a ritenere che la
figura della madre adottiva fosse alla pari di quella biologica nell’educazione
del minore.
Il caso di Bologna è, se
possibile, ancora più semplice: si è trattato di legittimare anche in Italia un
percorso di adozione già portato a termine negli U.S.A.
Malgrado in entrambe i casi
i tribunali si siano limitati ad applicare la legge, e malgrado si sia trattato
di adozioni particolari, questi fatti hanno scateneto un vero e proprio
putiferio riguardo alla possibilità di estendere l’adozione anche a famiglie
diverse rispetto a quelle tradizionali.
E via a sproloquiare sui
diritti degli omosessuali, sull’adozione dei single e su amenità varie. In
realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, chi si è sentito di esprimere il
proprio parere lo ha fatto dimostrando di non conoscere né le dinamiche dell’adozione,
né tantomeno quelle relative all’aspetto affettivo ed emotivo che coinvolgono
il minore.
Sperare poi che qualcuno si mettesse
dalla parte del fanciullo, appare pura utopia!
La legge italiana prevede
che nel processo di adozione si debbano salvaguardare primariamente gli
interessi del minore. Infatti per la coppia non c’è alcune certezza
relativamente al fatto che alla fine della storia arrivi un bimbo, si parla solo
di “disponibilità” all’adozione.
Relativamente all’adozione
nazionale, pur non essendoci dati statistici certi, si può calcolare una
percentuale di coppie che arriva ad accogliere un bimbo nell’ordine del 20%.
Il che significa, tra l’altro,
che le coppie che fanno richiesta sono molte di più rispetto a quelle che
effettivamente adottano.
Per quanto riguarda il
minore, il processo è articolato.
Vi sono casi semplici, come
quelli relativi all’abbandono alla nascita o situazioni simili. In tali
circostanze il Tribunale interviene immediatamente dichiarando l’adottabilità.
Ma questo non è il solo
caso: il minore può essere dichiarato adottabile anche in seguito a
sradicamento dalla famiglia di origine.
Ovviamente un bimbo viene
tolto alla tutela genitoriale solo in presenza di fatti gravi ed accertati; gli
assistenti sociali, una volta che il minore è stato accolto in una struttura,
cercano peraltro di salvare il rapporto con i genitori biologici. Pertanto il
minore ha ancora per anni rapporti con la madre, il padre o entrambi. Fino a
quando, constatata l’impossibilità di reinserirlo nell’ambiente nel quale è
nato, il Tribunale emette un decreto di adottabilità.
Un bimbo dichiarato
adottabile, è in tutti i casi un bimbo traumatizzato (si parla del cosiddetto “trauma
dell’abbandono” anche per i neonati).
L’avere poi a che fare con
tutta una serie di soggetti relativi al mondo degli adulti diversi da mamma e
papà (le figure protettive per eccellenza, anche a livello inconscio), crea nel
minore angoscia, sconforto, sfiducia e tutta una serie di sentimenti che ne ostacolano
il normale processo evolutivo. È pertanto fondamentale che l’adozione (una
volta che il bimbo è stato abbinato ad una famiglia) vada a buon fine: in caso
contrario si creerebbero tensioni che potrebbero risultare devastanti per l’equilibrio
psicofisico di una creatura già abbondantemente provata.
In Italia il compito di accogliere
ed educare questi bimbi è riservato alle cosiddette “case famiglia”.
Non bisogna nascondersi: il
plafond culturale italiano è fortemente pregnato dal cattolicesimo; inoltre
molte case famiglia sono gestite da opere religiose. Sono moltissimi quindi i
casi di minori che, dopo aver vissuto in qualche modo, trovano negli istituti
religiosi qualcuno che gli trasmetta i primi veri valori.
Tra i valori cattolici
primeggia quello della famiglia intesa come unione di un uomo ed una donna. Pertanto il sospetto che un bimbo possa essere impreparato ad affrontare una
situazione diversa rispetto a “mamma + papà” sembra fondato.
Per quanto non ci debba
essere nessuna controindicazione di tipo ideologico al fatto che l’adozione sia
affidata ad una famiglia non tradizionale, la strada per arrivare ad un’effettiva
ed efficace percorribilità di questa soluzione appare quindi ancora
eccessivamente lunga e tortuosa.
Quello che sorprende nella
maggior parte dei commenti è che si ignora allegramente tutto ciò: il reale
bisogno del minore trova uno spazio secondario rispetto ai diritti degli
adulti, segnando uno stravolgimento totale del principio base del prioritario
interesse del minore.
Confondere i diritti civili degli
omosessuali, peraltro sacrosanti, mettendoli in un unico calderone con l’adozione
(che è leggermente più complessa), nonché pretendere che un bimbo,
traumatizzato e sballottato qua e là, si trasformi in essere senziente (e non
in evoluzione), con capacità di valutazione e di decisione tipica di un adulto,
vuol dire affrontare la questione con un pressappochismo disarmante.
Alla luce di tutto cio chiedere
se: “preferireste abbandone il bimbo in un orfanotrofio o darlo in adozione a
un’amorevole coppia di omosessuali”, assume la valenza di una solenne sciocchezza.
Chi se ne frega del “preferireste
voi”, quello che importa è “cosa è meglio per il bimbo”. Qui non si tratta di
un referendum, si tratta della vita di un essere umano!
Il sospetto è che si
utilizzino allegramente i bambini per portare avanti istanze nelle quali essi
non c’entrano nulla. E questo, se vero, sarebbe veramente odioso.