domenica 21 settembre 2014

E adesso parliamo di adozione!

Da qualche tempo, complici due sentenze dei Tribunali di Roma e Bologna, si è aperto un dibattito, spinoso quanto discutibile nei contenuti, riguardante la possibilità di adozione da parte di famiglie non tradizionali.
Spinoso perché coinvolge una fascia di minori particolarmente disagiati, discutibile perché non sempre chi parla dimostra di conoscere la realtà dell’adozione.

In merito alle sentenze citate, sono stati accolte dai Tribunali le istanze relative a due casi di adozione speciale in base all’articolo 44 della legge 184/83 e riguardanti una coppia omosessuale che già ospitava il figlio biologico di una delle due partner (il caso di Roma) ed il riconoscimento in Italia di un’adozione portata a termine negli Stati Uniti da parte di una nostra concittadina single (quello di Bologna).
In realtà le due sentenze sono un concentrato di logica e buon senso: nel caso della coppia di Roma (peraltro sposata in Spagna), si è appurato che tra la madre non biologica e la bimba si è creato un forte legame affettivo, tale da indurre il giudice a ritenere che la figura della madre adottiva fosse alla pari di quella biologica nell’educazione del minore.
Il caso di Bologna è, se possibile, ancora più semplice: si è trattato di legittimare anche in Italia un percorso di adozione già portato a termine negli U.S.A.
Malgrado in entrambe i casi i tribunali si siano limitati ad applicare la legge, e malgrado si sia trattato di adozioni particolari, questi fatti hanno scateneto un vero e proprio putiferio riguardo alla possibilità di estendere l’adozione anche a famiglie diverse rispetto a quelle tradizionali.
E via a sproloquiare sui diritti degli omosessuali, sull’adozione dei single e su amenità varie. In realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, chi si è sentito di esprimere il proprio parere lo ha fatto dimostrando di non conoscere né le dinamiche dell’adozione, né tantomeno quelle relative all’aspetto affettivo ed emotivo che coinvolgono il minore.
Sperare poi che qualcuno si mettesse dalla parte del fanciullo, appare pura utopia!
La legge italiana prevede che nel processo di adozione si debbano salvaguardare primariamente gli interessi del minore. Infatti per la coppia non c’è alcune certezza relativamente al fatto che alla fine della storia arrivi un bimbo, si parla solo di “disponibilità” all’adozione.
Relativamente all’adozione nazionale, pur non essendoci dati statistici certi, si può calcolare una percentuale di coppie che arriva ad accogliere un bimbo nell’ordine del 20%.
Il che significa, tra l’altro, che le coppie che fanno richiesta sono molte di più rispetto a quelle che effettivamente adottano.
Per quanto riguarda il minore, il processo è articolato.
Vi sono casi semplici, come quelli relativi all’abbandono alla nascita o situazioni simili. In tali circostanze il Tribunale interviene immediatamente dichiarando l’adottabilità.
Ma questo non è il solo caso: il minore può essere dichiarato adottabile anche in seguito a sradicamento dalla famiglia di origine.
Ovviamente un bimbo viene tolto alla tutela genitoriale solo in presenza di fatti gravi ed accertati; gli assistenti sociali, una volta che il minore è stato accolto in una struttura, cercano peraltro di salvare il rapporto con i genitori biologici. Pertanto il minore ha ancora per anni rapporti con la madre, il padre o entrambi. Fino a quando, constatata l’impossibilità di reinserirlo nell’ambiente nel quale è nato, il Tribunale emette un decreto di adottabilità.
Un bimbo dichiarato adottabile, è in tutti i casi un bimbo traumatizzato (si parla del cosiddetto “trauma dell’abbandono” anche per i neonati).
L’avere poi a che fare con tutta una serie di soggetti relativi al mondo degli adulti diversi da mamma e papà (le figure protettive per eccellenza, anche a livello inconscio), crea nel minore angoscia, sconforto, sfiducia e tutta una serie di sentimenti che ne ostacolano il normale processo evolutivo. È pertanto fondamentale che l’adozione (una volta che il bimbo è stato abbinato ad una famiglia) vada a buon fine: in caso contrario si creerebbero tensioni che potrebbero risultare devastanti per l’equilibrio psicofisico di una creatura già abbondantemente provata.
In Italia il compito di accogliere ed educare questi bimbi è riservato alle cosiddette “case famiglia”. 
Non bisogna nascondersi: il plafond culturale italiano è fortemente pregnato dal cattolicesimo; inoltre molte case famiglia sono gestite da opere religiose. Sono moltissimi quindi i casi di minori che, dopo aver vissuto in qualche modo, trovano negli istituti religiosi qualcuno che gli trasmetta i primi veri valori.
Tra i valori cattolici primeggia quello della famiglia intesa come unione di un uomo ed una donna. Pertanto il sospetto che un bimbo possa essere impreparato ad affrontare una situazione diversa rispetto a “mamma + papà” sembra fondato.
Per quanto non ci debba essere nessuna controindicazione di tipo ideologico al fatto che l’adozione sia affidata ad una famiglia non tradizionale, la strada per arrivare ad un’effettiva ed efficace percorribilità di questa soluzione appare quindi ancora eccessivamente lunga e tortuosa.
Quello che sorprende nella maggior parte dei commenti è che si ignora allegramente tutto ciò: il reale bisogno del minore trova uno spazio secondario rispetto ai diritti degli adulti, segnando uno stravolgimento totale del principio base del prioritario interesse del minore.
Confondere i diritti civili degli omosessuali, peraltro sacrosanti, mettendoli in un unico calderone con l’adozione (che è leggermente più complessa), nonché pretendere che un bimbo, traumatizzato e sballottato qua e là, si trasformi in essere senziente (e non in evoluzione), con capacità di valutazione e di decisione tipica di un adulto, vuol dire affrontare la questione con un pressappochismo disarmante.
Alla luce di tutto cio chiedere se: “preferireste abbandone il bimbo in un orfanotrofio o darlo in adozione a un’amorevole coppia di omosessuali”, assume la valenza di una solenne sciocchezza.
Chi se ne frega del “preferireste voi”, quello che importa è “cosa è meglio per il bimbo”. Qui non si tratta di un referendum, si tratta della vita di un essere umano!
Il sospetto è che si utilizzino allegramente i bambini per portare avanti istanze nelle quali essi non c’entrano nulla. E questo, se vero, sarebbe veramente odioso.