C’è
la forma e poi c’è la sostanza.
Nell’ambito
della circolazione stradale, la “forma” si può manifestare, per esempio, in
tutti quei provvedimenti presi sull’onda di una tensione emotiva o magari
“perché reclamati dalla piazza”. Per negligenza o, peggio, per incompetenza,
non ci si preoccupa delle conseguenze che certi atti possono causare nell’utenza.
Il risultato è che spesso sono inutili, qualche volta addirittura deleteri.
In
Italia già non c’è un gran senso civico di base, figuriamoci poi con queste
premesse quanto raffinata possa essere la sensibilità in merito alla cultura
della sicurezza stradale da parte del comune cittadino.
In
molti casi, si ha una visione fortemente distorta di cosa voglia dire realmente
condurre un veicolo e quali rischi si corrano.
La patente è inoltre spesso percepita come un documento a cui si ha diritto,
più o meno alla stregua della carta di identità.
Invece
si tratta di una concessione: nessuno può vantarne la facoltà a priori, il
cittadino può legittimamente solo richiedere di essere ammesso agli esami.
Della
differenza tra “forma” e “sostanza”, tra “cultura dell’arroganza” e “cultura
della sicurezza” ci si rende conto quando capita di leggere di come la patente venga
conseguita in paesi che la sicurezza la curano da anni. L’Australia? Gli USA?
Paesi che distano “millanta miglia” da noi?
No,
purtroppo. Molto più semplicemente si tratta dei nostri vicini di pianerottolo:
la Svizzera.
Siamo
a dodici chilometri dal confine: solo dodici chilometri, che sono un’inezia
rispetto alla distanza siderale che separa il nostro medioevo intellettuale
(dal punto di vista della circolazione stradale) dall’Europa consapevole.
Dodici
fottutissimi chilometri ed un confine che segna il limite tra due mondi.
Giova
ricordare che tra tra gli under trenta, la prima causa di morte è rappresentata
proprio dall’incidente stradale, fatto senz’altro noto alla redazione di
Sicurauto.it, sito sul quale è apparso qualche giorno fa un interessante
articolo sul percorso che un cittadino elvetico deve seguire per conseguire la
patente di guida (http://www.sicurauto.it/blog/news/prendere-la-patente-in-svizzera-servono-3-anni-e-sino-a-3300-euro.html).
Sarebbe
molto interessante che il testo capitasse tra le mani di tutti quei rampolli e
dei loro genitori (categorie entrambe sempre più numerose) preoccupati di
girare con il telefonino all’ultima moda o con l’abbigliamento griffato e che,
per contrappasso, quando si tratta di patente riescono solo a proferire la
regina delle banalità: “costa troppo”.
Un
atteggiamento che nasconde una mentalità estremamente italiana: “a me certamente
non può succedere nulla perché io sono il re dei piloti”; oppure “la colpa è
dei ciclisti” (gli automobilisti), “la colpa è degli automobilisti” (i
ciclisti), “la colpa è di automobilisti e di tutti quei coglioni in bicicletta”
(i motociclisti).
Ed
ovviamente: “io ho diritto alla patente, anzi dovrebbe essere gratis; se vengo
bocciato all’esame significa che l’esaminatore non capisce nulla e che
l’istruttore non sa fare il suo lavoro”.
La
colpa è sempre degli altri, io non posso far nulla. “Chiagnere e fottere”: indice
peraltro del livello culturale a cui si è ridotto il paese.
Esagerazioni?
Basta
provare a leggere i commenti sui blog che parlano di circolazione stradale per
rendersi conto che viviamo in un paese in cui questo modo di pensare è largamente
diffuso.
E,
cosa grave, chi è tenuto istituzionalmente a prendere decisioni non è certamente immune da questi
convincimenti: la normativa è infatti
talmente contorta che formare un allievo alla guida vuol dire imbarcarsi in una
jungla: orpelli burocratici e compromessi a non finire, chili e chili di carta,
timbri, certificazioni ed autocertificazioni a iosa, decine di ore spese agli
sportelli quando oggi, con un click, si può comprare praticamente qualsiasi
cosa (lecita o illecita) in tutto il mondo.
Ovviamente
tutto questo c’entra poco con l’educazione e ha molto il sapore stantio ed
ammuffito di un archivio polveroso degli anni ’50.
Aprire
un’autoscuola poi, è complicato oltre ogni misura: le formalità burocratiche sono
infinite, i materiali sono imponenti ed in larghissima parte inutili, il parco
veicolare alla stregua di un concessionario. Ciclomotore, almeno un motociclo
(meglio due, dal prossimo gennaio tre), autovettura (e se si rompe? meglio due),
autocarro (da gennaio due), autobus (idem) e, ovviamente rimorchio. Il tutto in
linea teorica perché all’utente la scuola guida deve garantire il conseguimento
di qualsiasi patente.
In
realtà, serve a limitare la concorrenza.
Un
meccanismo kafkiano, una corsa ad ostacoli (per non parlare di quello che deve
sopportare un disabile!), che formalmente serve a garantire la massima
trasparenza, ed invece crea in chi usufruisce del servizio non la voglia di
apprendere, ma la preoccupazione di essere esteticamente corretto senza
preoccuparsi delle implicazioni. Ed è purtroppo così che il meccanismo viene percepito dalle famiglie.
Le
istituzioni continuano a sfornare prevvedimenti che vanno in direzione opposta
rispetto alla creazione di una corretta sensibilità: l’ultima nota positiva risale
all’introduzione della patente a punti, ormai vecchia di quasi un decennio.
E
poi?
Poi
tutto è stato annacquato: se prendi una multa puoi legittimemente dichiarare
che non eri alla guida tu (ti costa un sovraprezzo ma non subisci decurtazioni);
i corsi di recupero punti non prevedono un esame finale; gli esami per il
conseguimento del C.I.G (il cosiddetto “patentino” per il motorino) e per la
patente A sono troppo semplici; chi fa del male non subisce conseguenze di
rilievo (butti sotto un pedone sulle strisce? Sono 160€ di multa e 8 punti) e
via di questo passo.
Questa
tremenda superficialità si traduce in una “forma mentis” atroce: i morti
ammazzati su strada sono morti di serie B.
E,
per reazione, c’è sempre chi pensa di risolvere tutto invocando il capestro,
magari con l’ introduzione del reato di “omicidio stradale”, utile solo ad
ingarbugliare meglio la situazione.
O
si strilla ad una maggiore preparazione (senza costi aggiuntivi, ovviamente),
ne è una prova la recente perla delle sei ore di guida obbligatorie.
Formalmente:
sei ore sono quelle obbligatorie, poi ci sono quelle propedeutiche.
Percepito
in sostanza: la legge dice che in sei ore si impara a guidare.
In
realtà la cultura della sicurezza si crea nel corso del tempo. In Svizzera è da
decenni che il problema – strada è all’ordine del giorno nel dibattito
istituzionale. Solo investendo tempo,
energie, risorse si possono creare le condizioni affinché la sensibilità delle persone evolva.
E solo quando c’è la giusta sensibilità i provvedimenti hanno la loro
efficacia.
Non
si può importare qui da noi il “modello svizzero” perché proprio per la mancanza di una piattaforma culturale opportuna, risulterebbe inefficace.
La
bacchetta magica esiste solo nelle favole, la realtà è fatta di approfondimenti
e di duro lavoro .
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