domenica 23 settembre 2012

In 10 anni multe aumentate di 15 volte


Secondo un’indagine del Centro Studi e Ricerche Sociologiche “Antonella Di Benedetto” di Krls Network of Business Ethics, ripreso peraltro da numerose testate giornalistiche e pubblicato sul sito www.contribuenti.it, in Italia negli ultimi dieci anni il numero di contravvenzioni per violazione delle norme del Codice della Strada sarebbe cresciuto di più del 1500%.
Che il nostro fosse un paese in cui la guida su strada è vissuta con una certa creatività, è un dato di fatto; così come è incontestabile che i concittadini motorizzati lascino piuttosto a desiderare in quanto a preparazione e senso civico.
Verrebbe peraltro da ipotizzare che un così grande aumento delle sanzioni erogate dagli organi di polizia sia compatibile con la spinta verso un maggior senso civico e con gli obiettivi che l’Unione Europea fissava proprio nel 2001: ovvero la riduzione del 50% delle vittime di incidenti stradali.
Basta fare un paragone con i paesi da questo punto virtuosi e più vicini a noi per rendersi conto che di tratta di pura fantascienza.
In Italia nel 2001 sono decedute a seguito di incidenti stradali 7092 persone, nel 2010 4090, con un decremento del 42,4%. I feriti sono passati da 373286 a 302735, con una diminuzione di appena 19 punti percentuali (fonte: dati Aci – Istat sugli incidenti stradali del 2010).
In Francia, nello stesso periodo, i morti sono scesi da 7720 a 3092 con una dimunizione del 49% (dati del Ministero dell’Interno, discordanti con quelli dello studio Aci – Istat, presumibilmente a causa di un aggiustamento degli indici di correzione statistici nel paese transalpino risalente al 2004), mentre i feriti sono passati da 153945 a 84461, con una diminuzione di circa 45 punti percentuali. In compenso, nello stesso periodo, le multe sono aumentate solo del 46%!
Germania, Gran Bretagna e Spagna presentano un andamento del tutto simile.
E’ pertanto un dato di fatto che l’incremento delle sanzioni nostrano non corrisponda ad un miglioramento delle prestazioni dei conducenti.
Ma l’Italia, si sa, è il paese dei furbi. Oltretutto la nostra classe politica, anche a livello locale, non brilla certo per moralità e preparazione. E’ allora lecito sospettare che i comuni utilizzino le sanzioni amministrative solamente allo scopo di fare cassa.  Purtroppo non è dato di sapere quali siano i dati statistici realtivi alle infrazioni al Codice della Strada: semplicemente non esistono.
Fa però riflettere il fatto che decine di amministrazioni comunali abbiano, nell’ordine, creato parcheggi a pagamento dappertutto ed arruolato legioni di ausiliari del traffico, ufficialmente per mettere un freno al fenomeno della sosta selvaggia.
In realtà qui da noi i conducenti si prestano spesso a comportamenti da barzelletta: mentre guidano riescono a telefonare; fumare una stecca di sigarette; litigare con moglie o  marito; messaggiare col fidanzato/a; cambiare in continuazione la stazione radio e compiere mille altre attività che con la guida  non c’entrano molto. Andando poi all’estero, la percezione della nostra impreparazione è evidente. 
Empiricamente è abbastanza difficile ritenere che l’indisciplina degli italiani sia limitata alla semplice mancanza dell’osservazione delle regole relative all sosta, visto il quadro deprimente che ognuno di noi può riscontrare ogni giorno. In realtà in sospetto forte è che le Amministrazioni Comunali abbiano fatto della sosta selvaggia una scusa per fare cassa. Non si spiegherebbe altrimenti lo spaventoso aumento del numero di contestazioni senza peraltro che questo incida sui comportamenti al volante.
Sempre secondo lo stesso studio, solo il 20% delle sanzioni viene pagato. Ciò significa che una gran quantità di esse sfocia nella controversia giudiziaria, andando ad affossare uffici già sommersi da arretrati di proporzioni bibliche e contribuendo oltretutto ad aumentare la litigiosità del paese.
Chi paga il conto di tutto ciò?
Ovviamente il cittadino. In termini economici: si trova appioppata la multa per divieto di sosta quando magari era a pochi passi e poteva spostare il veicolo; ricordiamo che esiste (rebbe) una vasta giurisprudenza legislativa che obbliga gli ufficiali sanzionatori a verbalizzare il più possibile al momento dell’infrazione.
In termini di frustrazione: si trova l’automobilista arrogante ed impenitente che entra allegramente contromano, anche sotto gli occhi degli agenti, ma non viene sanzionato perché è troppo seccante farlo. Questo non contribuisce certo ad avvicinare il cittadino ad istituzioni che paiono sempre più chiuse in una casta tipo “ancien régime”.
Ma soprattutto in termini di sicurezza: i comportamenti realmente pericolosi vengono ignorati in nome di un formalismo ai limiti del grottesco.
Con buona pace di mille promesse ed intenzioni.


martedì 11 settembre 2012

La patente in Italia; la patente in Svizzera


C’è la forma e poi c’è la sostanza.

Nell’ambito della circolazione stradale, la “forma” si può manifestare, per esempio, in tutti quei provvedimenti presi sull’onda di una tensione emotiva o magari “perché reclamati dalla piazza”. Per negligenza o, peggio, per incompetenza, non ci si preoccupa delle conseguenze che certi atti possono causare nell’utenza. Il risultato è che spesso sono inutili, qualche volta addirittura deleteri.

In Italia già non c’è un gran senso civico di base, figuriamoci poi con queste premesse quanto raffinata possa essere la sensibilità in merito alla cultura della sicurezza stradale da parte del comune cittadino.

In molti casi, si ha una visione fortemente distorta di cosa voglia dire realmente condurre un veicolo e quali rischi si corrano.  La patente è inoltre spesso percepita come un documento a cui si ha diritto, più o meno alla stregua della carta di identità.

Invece si tratta di una concessione: nessuno può vantarne la facoltà a priori, il cittadino può legittimamente solo richiedere di essere ammesso agli esami.

Della differenza tra “forma” e “sostanza”, tra “cultura dell’arroganza” e “cultura della sicurezza” ci si rende conto quando capita di leggere di come la patente venga conseguita in paesi che la sicurezza la curano da anni. L’Australia? Gli USA? Paesi che distano “millanta miglia” da noi?

No, purtroppo. Molto più semplicemente si tratta dei nostri vicini di pianerottolo: la Svizzera.

Siamo a dodici chilometri dal confine: solo dodici chilometri, che sono un’inezia rispetto alla distanza siderale che separa il nostro medioevo intellettuale (dal punto di vista della circolazione stradale) dall’Europa consapevole.

Dodici fottutissimi chilometri ed un confine che segna il limite tra due mondi.

Giova ricordare che tra tra gli under trenta, la prima causa di morte è rappresentata proprio dall’incidente stradale, fatto senz’altro noto alla redazione di Sicurauto.it, sito sul quale è apparso qualche giorno fa un interessante articolo sul percorso che un cittadino elvetico deve seguire per conseguire la patente di guida (http://www.sicurauto.it/blog/news/prendere-la-patente-in-svizzera-servono-3-anni-e-sino-a-3300-euro.html).

Sarebbe molto interessante che il testo capitasse tra le mani di tutti quei rampolli e dei loro genitori (categorie entrambe sempre più numerose) preoccupati di girare con il telefonino all’ultima moda o con l’abbigliamento griffato e che, per contrappasso, quando si tratta di patente riescono solo a proferire la regina delle banalità: “costa troppo”.

Un atteggiamento che nasconde una mentalità estremamente italiana: “a me certamente non può succedere nulla perché io sono il re dei piloti”; oppure “la colpa è dei ciclisti” (gli automobilisti), “la colpa è degli automobilisti” (i ciclisti), “la colpa è di automobilisti e di tutti quei coglioni in bicicletta” (i motociclisti).

Ed ovviamente: “io ho diritto alla patente, anzi dovrebbe essere gratis; se vengo bocciato all’esame significa che l’esaminatore non capisce nulla e che l’istruttore non sa fare il suo lavoro”.

La colpa è sempre degli altri, io non posso far nulla. “Chiagnere e fottere”: indice peraltro del livello culturale a cui si è ridotto il paese.

Esagerazioni?

Basta provare a leggere i commenti sui blog che parlano di circolazione stradale per rendersi conto che viviamo in un paese in cui questo modo di pensare è largamente diffuso.

E, cosa grave, chi è tenuto istituzionalmente a prendere decisioni  non è certamente immune da questi convincimenti:  la normativa è infatti talmente contorta che formare un allievo alla guida vuol dire imbarcarsi in una jungla: orpelli burocratici e compromessi a non finire, chili e chili di carta, timbri, certificazioni ed autocertificazioni a iosa, decine di ore spese agli sportelli quando oggi, con un click, si può comprare praticamente qualsiasi cosa (lecita o illecita) in tutto il mondo.

Ovviamente tutto questo c’entra poco con l’educazione e ha molto il sapore stantio ed ammuffito di un archivio polveroso degli anni ’50.

Aprire un’autoscuola poi, è complicato oltre ogni misura: le formalità burocratiche sono infinite, i materiali sono imponenti ed in larghissima parte inutili, il parco veicolare alla stregua di un concessionario. Ciclomotore, almeno un motociclo (meglio due, dal prossimo gennaio tre), autovettura (e se si rompe? meglio due), autocarro (da gennaio due), autobus (idem) e, ovviamente rimorchio. Il tutto in linea teorica perché all’utente la scuola guida deve garantire il conseguimento di qualsiasi patente.

In realtà, serve a limitare la concorrenza.

Un meccanismo kafkiano, una corsa ad ostacoli (per non parlare di quello che deve sopportare un disabile!), che formalmente serve a garantire la massima trasparenza, ed invece crea in chi usufruisce del servizio non la voglia di apprendere, ma la preoccupazione di essere esteticamente corretto senza preoccuparsi delle implicazioni. Ed è purtroppo così  che il meccanismo viene  percepito dalle famiglie.

Le istituzioni continuano a sfornare prevvedimenti che vanno in direzione opposta rispetto alla creazione di una corretta sensibilità: l’ultima nota positiva risale all’introduzione della patente a punti, ormai vecchia di quasi un decennio.

E poi?

Poi tutto è stato annacquato: se prendi una multa puoi legittimemente dichiarare che non eri alla guida tu (ti costa un sovraprezzo ma non subisci decurtazioni); i corsi di recupero punti non prevedono un esame finale; gli esami per il conseguimento del C.I.G (il cosiddetto “patentino” per il motorino) e per la patente A sono troppo semplici; chi fa del male non subisce conseguenze di rilievo (butti sotto un pedone sulle strisce? Sono 160€ di multa e 8 punti) e via di questo passo.

Questa tremenda superficialità si traduce in una “forma mentis” atroce: i morti ammazzati su strada sono morti di serie B.

E, per reazione, c’è sempre chi pensa di risolvere tutto invocando il capestro, magari con l’ introduzione del reato di “omicidio stradale”, utile solo ad ingarbugliare meglio la situazione.

O si strilla ad una maggiore preparazione (senza costi aggiuntivi, ovviamente), ne è una prova la recente perla delle sei ore di guida obbligatorie.

Formalmente: sei ore sono quelle obbligatorie, poi ci sono quelle propedeutiche.

Percepito in sostanza: la legge dice che in sei ore si impara a guidare.

In realtà la cultura della sicurezza si crea nel corso del tempo. In Svizzera è da decenni che il problema – strada è all’ordine del giorno nel dibattito istituzionale.  Solo investendo tempo, energie, risorse si possono creare le condizioni  affinché la sensibilità delle persone evolva. E solo quando c’è la giusta sensibilità i provvedimenti hanno la loro efficacia.

Non si può importare qui da noi il “modello svizzero” perché proprio per la mancanza di una piattaforma culturale opportuna, risulterebbe inefficace.

La bacchetta magica esiste solo nelle favole, la realtà è fatta di approfondimenti e di duro lavoro .