Uno
che nasce il 15 aprile 1912 ha il destino segnato.
Mentre
il Titanic affondava nelle gelide acque dell’Atlantico, da qualche parte nel
Rhode Island, lungo la stessa costa, veniva alla luce uno tra gli artisti più
poliedrici e geniali del ventesimo secolo.
Definire
William (Bill) Congdon solo “pittore” è assolutamente limitativo. Congdon è un
personaggio che attraverso il colore, gli elementi della natura, gli oggetti ed
uno straordinario travaglio personale ha trasmesso e continua a trasmettere
emozioni dirompenti.
Il
suo rapporto con l’Italia inizia durante la seconda guerra mondiale, quando
Congdon, arruolato nell’American Field Service percorre le strade del nostro
paese devastato dal conflitto prima di imbattersi nell’orrore di Bergen Belsen.
Alla
fine della guerra ritorna in patria, a New York, dove inizia ad esporre con i
pittori della nascente Action Painting. Si parla della Betty Parsons Gallery e
di artisti del calibro di Jackson
Pollock o Franz Kline.
Ben
presto la Grande Mela col suo miscuglio di visioni estreme (straordinaria
ricchezza e povertà; straordinaria sensibilità e violenza) smette di intrigare
Congdon, che si trasferisce per la prima volta in Italia, A Venezia.
Sono
gli anni ’50. Congdon ricerca
nell’arte uno scopo della vita, ma per quanti sforzi conduca in tal senso, continua a sentire che gli manca la
pace. La troverà solo nel 1959, anno in cui si convertirà al cattolicesimo e sarà
battezzato ad Assisi.
Da
allora in poi tutta la sua arte verrà messa al servizio dell’idea di Cristo. L’ultima
tappa del suo viaggio terreno si chiama Cascinazza, monastero benedettino nei
pressi di Buccinasco (Mi), dove Congdon approdò nel 1979.
Si
spegne nel giorno dell’86 compleanno.
Congdon
è un genio. La sua arte esprime una visione della natura e della vita che si
completa solo nell’abbraccio col divino. È terra, colore, fuoco, legno, morte,
vita. È pennello e spatola. Trasmette un senso di tumulto; un’onda che cresce
fino ad abbattersi sulla costa travolgendo tutto quello che trova e generando
le condizioni per la rinascita. Che è umana e spirituale. O meglio è umana
trascendente nella spiritualità: solo attraverso l’abbraccio con il Cristo è
possibile completarsi come uomini, avere quella pienezza che è all’origine
della pace interiore. Congdon trascorse gli ultimi anni affossato nella bassa
milanese. Un luogo che in inverno è pieno
di poesia (ma anche di nebbia) e nella bella stagione trasmette un senso di
pace e di tranquillità. È un posto perso nel tempo. Ti potresti immaginare di
vedere da un momento all’altro i contadini con i carri carichi delle loro masserizie
che si trasferiscono, nel giorno di San Martino, da un campo all’altro, da un
padrone all’altro. Oppure mentre raccolgono il mais o oziano pigramente nelle
giornate di mezza estate.
Congdon
è riuscito a scassare con il colore la monotonia di questo paesaggio bucolico
trasformandolo in qualcosa di vivo e pulsante. I campi, la terra grassa di
Lombardia, il granoturco, i monaci, tutto si trasfigura in un’immensa opera di modifica
del paesaggio, antropizzato dagli uomini che vi risiedono e che trasforma gli
abitanti.
Ebbi
la fortuna ed il privilegio di incontrare Congdon pochi mesi prima che morisse.
Mi trovai di fronte ad un uomo dal fisico ormai indebolito, ma con uno sguardo
intenso come la profondità della campagna che aveva segnato il suo ultimo
rifugio. Chiacchierammo di arte, di percorsi spirituali, di Samurai. Mi fece
vedere i lavori che stava ultimando. E che purtroppo non videro mai la luce.
Le
opere di Congdon sono esposte nei più importanti musei del mondo: dal
Metropolitan di New York al Museum of Fine Arts di Boston; dalla Phillips
Collection di Washington alla Peggy Guggenheim
Collection di Venezia, solo per citarne alcuni.
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