sabato 30 gennaio 2016

Rosario

Conobbi Rosario circa dieci anni fa.
Era insieme a me in crociera sul Nilo.
Rosario era un uomo piuttosto giovane, piccolo di statura e molto magro. Aveva i capelli lisci e neri, come gli occhi, ed un paio di baffetti che avresti potuto cancellare con la gomma. Mi colpivano la sua allegria ed il suo universo di uomo di mare, così lontani dai miei standard di cittadino della metropoli. Rosario era di Lampedusa; “là dove sgli scogli sembrano chiedere scusa al mare prima di immergersi” era solito dire.
Non so bene che tipo di attività svolgesse, so solo che lavorava a Roma. Malgrado la vita in città, il suo sguardo sembrava costantemente perso nelle profondità del mare. Chiacchieravamo spesso insieme: lui figlio di pescatori ed io figlio del cemento ci raccontavamo la nostra storia. Era piacevole sentire il caldo dell’Egitto smorzato dal soffio della brezza prodotta dalla navigazione ed ascoltare nel frattempo Rosario che raccontava, ridendo divertito, decine di storie sorseggiando una birra dietro l’altra.

Il giorno in cui accadde il fattaccio Rosario non si sentiva bene e si era chiuso nella sua cabina.
Avvenne tutto molto in fretta: la nave urtò uno scoglio, si piegò su un lato e iniziò a imbarcare acqua.
Arrivai alla cabina di Rosario giusto in tempo. Riuscii ad aprirla e lo tirai fuori di peso. Lo trascinai letteralmente fino al ponte, da dove ci lanciammo il più lontano possibile per non essere risucchiati dalla nave che affondava. Quando giunsi a riva Rosario era svenuto e tremava dal freddo.
Riprese conoscenza in una stanza d’ospedale. Mi guardò  e sussurrò: “Sei bravo. Ti ringrazio molto. Vedrai che un giorno riuscirò a sdebitarmi”.
Fu l’ultima volta che lo vidi. Tornai in Italia che lui era ancora ricoverato.


Quando l’anno scorso mi recai a Lampedusa, il Nilo, Rosario e la nostra brutta avventura erano solo immagini lontane. Ormai avevo qualche capello bianco e anche alcune piccole rughe. Stavo con una brava ragazza molto dolce che mi concedeva, vecchio vezzo, di fare da solo parte delle mie vacanze.
Quel giorno ero in immersione a circa 20 metri da solo. Avevo una certa esperienza di subacquea e mi era già successo di scendere in solitudine. Volli fare troppo. Entrai in una caverna molto piccola  e mi accorsi di non poter più uscire. Provai a districarmi per qualche interminabile minuto ma, col panico montante, riuscii a fare più danno che utile. Ad un certo punto sentii delle mani che dolcemente lavoravano alle mie spalle. Appena mi fu possibile mi liberai da quella terribile prigione e scorsi un uomo che mi stava aiutando a riguadagnare la superficie. Arrivai sulla spiaggia distrutto ed impaurito, mi tolsi l’ingombrante fardello mentre anche il mio salvatore  faceva altrettanto.
Si girò.
Rosario!! Era esattamente uguale a come me lo ricordavo: né un capello bianco né una ruga. Mentra mi sorrideva mi disse: “hai visto? Adesso siamo pari”.
Svenni sopraffatto dall’emozione.


Quando rinvenni, di Rosario nessuna traccia.
Il sole stava calando ed io ero stranamente riposato. Raccolsi le mie cose e tornai all’auto con mille pensieri in testa. Il giorno dopo mi mossi subito alla ricerca di Rosario. Chiesi ai pescatori, guardai nella rubrica del telefono: tutto vano.
Fu un vecchio che mi condusse a lui: me lo trovai finalmente di fronte.

Da una lapide di marmo bianca, vecchia di quasi sei anni, Rosario mi guardava attraverso una fotografia in bianco e nero. Mi parve persino di vederlo sorridere.

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