Parlare
dell’Imperatore Costantino è cosa assai ardua. Per il tempo trascorso, per la
scarsezza delle fonti e per il salto di mentalità che si rende necessario al
fine di inquadrare il personaggio nell’ottica del proprio tempo.
Poche,
giova ribadirlo, le fonti disponibili: Lattanzio, Eusebio, da parte cristiana,
e Zosimo, da parte della tradizione greco-romana, che, per la precisione, non
si può chiamare “pagana”. Il paganesimo infatti verrà dopo Costantino, quando,
avendo il Cristianesimo conquistato le città -
si dovrebbe riflettere a lungo sulla relazione fra “civitas” e
Cristianesimo – le campagne rimasero legate ai riti ancestrali e, dunque,
“pagane”, da “pagus”, che vuol dire villaggio. Lo studio delle fonti originali
sempre induce a “sfumare” i giudizi. Un evento, nel suo fieri, è spesso molto
diverso da come apparirà di seguito. La storia si appropria degli eventi e li
riusa in un quadro posteriore, che spesse volte non è il “quadro di riferimento
mentale” che ha dato origine a quello stesso evento. La cosa difficile sta
sempre nel cercare di reinserire un evento storico nel suo quadro e nella sua
epoca. Questo per noi oggi è molto difficile, poiché viviamo nel tempo irreale
del cosiddetto “tempo reale”, ovvero viviamo nella falsa compresenza di tutti
gli eventi storici con tutti gli altri eventi storici: così si perde di vista
la successione degli eventi stessi. Ma è la successione che ha dato senso agli
eventi. In altre parole, che siano avvenuti in un certo dato ordine piuttosto
che in un altro ordine di successione non è affatto indifferente al cercare di
capire le ragioni per le quali le cose sono andate in un certo modo piuttosto
che in un altro. Tutto è compresente perché possiamo accedere a delle
informazioni: ma le informazioni non danno di per se stesse la comprensione, se
non le si reinserisce nel quadro che ha dato loro senso e vita. E questo
secondo lavoro è ben più difficile rispetto al primo. In effetti, compito dello
storico dovrebbe essere quello di almeno tentare di spiegare gli eventi e
soprattutto le ragioni per le quali gli eventi sono andati in un certo modo,
piuttosto che meramente collazionarli.
La
questione di Costantino è spinosa perché la leggenda posteriore si è
impadronita di lui, facendolo diventare ciò che non poteva essere, nel bene
come nel male: sia la leggenda bianca che la leggenda nera a suo riguardo non
reggono, rispetto ai dati storici. Le fonti non è che siano tantissime:
dobbiamo rassegnarci al fatto che di tanti eventi fondamentali abbiamo poche
fonti, ancor oggi è così, la differenza oggi è che avremo sin troppo di poche
cose, delle cose più note; per esempio, chissà quanti turisti faranno foto al
Colosseo, ma Roma è piena di tanti altri monumenti cosiddetti “minori” che
chissà, magari in futuro potrebbero fornire informazioni utili. Nulla è più
facile che si perda che la memoria.
Come
prima cosa, va detto che l’Editto non è tale: un Editto, difatti, aveva delle
precise caratteristiche ed andava riportato su carta o pergamena, mentre noi ne
abbiamo solo l’attestazione in Lattanzio ed Eusebio. Per la precisione, fu un
Trattato, un Accordo fra Costantino, dominatore dell’Occidente, e Licinio,
dominatore dell’Oriente, che conferiva al Cristianesimo lo status legale di
religio licita, ovvero pubblicamente praticabile. Va precisato che il mondo
romano è quello che ha diffuso la differenza fra pratica religiosa pubblica e
pratica religiosa privata. Per accedere alle magistrature era necessario
praticare i riti “civili”, cioè della “civitas” Roma, qualunque cosa uno
credesse in sede privata. Con l’Impero, ai classici riti della città di Roma,
che accolse tanti culti, ma nessuno dei culti accolti consentiva l’accesso alle
magistrature (è importante sottolinearlo), si era aggiunto il culto imperiale:
ed era con quest’ultimo che, in modo particolare, i cristiani avevano dei problemi
e, in conseguenza del loro rifiuto di partecipare a detto culto, i cristiani
tendevano ad esser esclusi dall’arena pubblica.
Si
sono ripercorsi, sempre brevemente, i fatti: la visione del 312, che fu in
effetti un sogno, secondo Lattanzio, che scrive poco dopo; quanto ad Eusebio,
questi ne dà invece quella versione famosa di evento pubblico a tutti visibile.
Solo che Eusebio scrive una ventina di anni dopo gli eventi, e raccoglie le
confidenze dell’Imperatore romano ormai al termine della sua vita, ormai vicino
davvero al Cristianesimo (Costantino morirà nel 337): ma il Costantino della
fine non era il Costantino del 312. Il Costantino del 312 e del cosiddetto
Editto di Milano del 313 di certo non era in quel momento cristiano. Tra
l’altro, la visione del 312, in sogno, è molto simile a quella che lo stesso
Costantino ebbe nel 310 nelle Gallie, solo che gli apparì il dio Apollo.
Costantino
ebbe un’intuizione, quella dell’unitarietà e della forza dell’emergente
religione cristiana e che occorresse una politica di amicizia e persino
vicinanza con essa, ma è difficile che comprese davvero le conseguenze del suo
atto, e non perché fosse persona senza cultura, ma perché la sua cultura era
romana e greca, non ebraica. Per lui, alla fin fine, contava “il dio più forte”
e il “dio cui dovesse votarsi l’Impero” acciocché questo stesso dio proteggesse
l’Impero, e questo indipendentemente da cosa lui, Costantino, “davvero”
pensasse. Senza dubbio, con l’andare del tempo, favorì sempre di più i
cristiani, nessun dubbio al riguardo, ma, nel contempo, compì molti atti
contraddittori, che si sono brevemente ricordati nel corso della Conversazione,
un po’ troppi perché fossero semplicemente un tentativo di non scandalizzare un
mondo in cui i cristiani erano una forte e presente minoranza, tuttavia pur
sempre minoranza. Salvo proiettare in quell’epoca modi di pensare di epoche
posteriori, e compiere un atto antistorico, oggi molto comune - ma questo non
lo giustifica -, dobbiamo pensare che questo suo comportamento, che oggi ci
sembrerebbe “contraddittorio”, corrispondesse alla mentalità che Costantino
aveva: E cioè voleva unificare un Impero diviso, dove l’unitaria minoranza dei
cristiani poteva fornire un contributo determinante, ma non unico. Questo
sembrerebbe poter dedursi dagli eventi e dalle azioni di Costantino stesso.
Ed
ecco il Concilio di Nicea, che non fu affatto indetto “per stabilire il
Canone”, come ancora si legge da qualche parte – il processo di elaborazione
del Canone cristiano sarebbe proseguito ben oltre Costantino -, ma perché vi
fosse un Credo comune a tutti i cristiani. Costantino insomma parrebbe credesse
che quest’unitarietà, che i cristiani avevano come organizzazione, si potesse
tradurre ipso facto in un Credo unitario. Come si sa, il Concilio di Nicea del
20 maggio 325 finì con la cacciata e l’anatema degli ariani: iniziava il
pesante intervento statale nelle cose religiose, che è il sostrato negativo
nato da Costantino e che solo il Vaticano II ha cambiato nella Chiesa
cattolica, pur tra mille giravolte e tante indecisioni. Va detto che iniziava
soltanto, perché dobbiamo attendere Teodosio I il Grande (347-395) per vedere
bandito il culto pubblico “pagano”, privatamente non vi era l’interdetto, e per
vedere bandito ogni altro culto diverso da quello cristiano si dovrà attendere
Giustiniano (482-565). Son passati dei secoli da Costantino. Di solito non si
bada a queste cose. Tutto avviene in un clic, e secoli passano come bruscolini.
Beh, le cose non funzionano così.
Era
un mondo in crisi, era un mondo sempre più accentrato: cresceva quel fenomeno
che in Bisanzio avrebbe toccato il culmine, cioè l’Imperatore era separato dal
popolo, viveva come un monarca orientale, chi accedeva a lui poteva
influenzarlo. Costantino ancora non è così, Giustiniano già lo è. Quel mondo in
crisi, tuttavia, non sfugge a nessuno che vi presenti profondi echi di
somiglianza con il nostro mondo attuale. Costantino sembra profondamente
moderno proprio per questo motivo.
Tornando
all’Editto di Milano, esso non rappresenta la “libertà religiosa” come
conoscono e concepiscono i moderni, ed
accettata dalla Chiesa cattolica dal Vaticano II, esso è governato da una idea
molto più antica: quella della divinità che protegge lo Stato, indipendentemente
da ciò che un individuo possa credere. Si tratta di una idea molto antica, che
conosciamo in ambito semitico, ma pure in Asia orientale: il culto di Confucio
era un culto statale in tal senso, ed aveva poco a che spartire con le credenze
individuali, si era infatti tenuti a parteciparvi che vi si credesse o non.
Parlare di “libertà religiosa” a riguardo dell’Editto di Milano non ha, dunque,
molto senso, ed è cosa piuttosto antistorica, il che non significa che la
vicenda Costantino non abbia dei profondi riverberi ed accenti di modernità: è
vero infatti l’opposto, ma sono altri gli accenti di strettissima attualità di
quella vicenda fatidica, come si è cercato di dire.
Quanto
a Costantino, fu un uomo a metà fra due epoche: non fu né Marc’Aurelio né
Giustinano, ma ebbe degli aspetti che potrebbero ricordare ambedue, senza però
un profilo così definito. Non fu il primo “imperatore cristiano” che, anche
iconograficamente, era di là da venire, né fu più però la vecchia figura
imperiale, non fu Adriano, per intenderci. Fu un uomo fra due epoche, con degli
aspetti del passato e di ciò che sarà, ma indistinti, non ben delineati ancora.
Questo, però, è proprio delle epoche di passaggio, come la nostra. Di qui
l’attualità della figura, del Costantino che emerge dalle fonti e dai fatti,
non quello costruito dalle leggende posteriori che, tra l’altro, avevano anche
come scopo quello di giustificare la cosiddetta “Donazione” di Costantino, che
si sa essere un falso. Tra l’altro, Dante, se nella Commedia attribuisce la
Donazione, che considera vera, ad una sorta d’idealismo mal diretto di
Costantino, che voleva far cosa buona ma che si sarebbe tradotta in un eccesso
di privilegio conferito alla Chiesa di Roma, nella Monarchia esprime dubbi
sulla sua veridicità: quindi dubbi su di esso erano presenti già nel Medioevo.
Questo fu tra le cause dell’accusa di eresia verso il De Monarchia dantesco,
nel 1329. Fu poi posto nell’Index Librorum prohibitorum nel 1559, ma ne fu
tolto già nel 1564; infine nel 1929 Benedetto XV dichiarava Dante un esempio
per tutti gli uomini. Dalla prima data (1329) al 1929 sarebbero trascorsi
seicento anni, ed è chiaro che non era di certo la Commedia ad essere il
problema, ma la Monarchia, che poneva stretti limiti al potere temporale della
Chiesa e dei papi di Roma. Alla fine la cosa si sarebbe risolta, ma dopo tanti
secoli.
Il
problema politico è sempre stato cruciale nel Cristianesimo, in un modo o
nell’altro, il che ha il suo senso in una religione che fa della “civitas” il
suo centro. Il famigerato Index infine sarebbe stato eliminato da Paolo VI, ed
è una cosa della quale tanti gli sarebbero debitori: un regno sottovalutato,
quello di Paolo VI.
Per
finire: la storia mostra come il cambiamento di correnti, ovvero il mutamento
della bilancia, con il prevalere definitivo di un gruppo su di un altro, non è
questione di secoli: avviene in un momento. E le cose sarebbero potute essere
ben diverse, se solo gli eventi fossero avvenuti diversamente in certi “snodi”
decisivi: pochi riflettono su questo.
Sullo
sfondo vi è la questione teologica, dove in effetti Costantino si affidava ai
suoi consiglieri, soprattutto Osio di Cordova – che secondo alcune fonti
sarebbe stato però di Alessandria d’Egitto – e, soprattutto, il problema del
passaggio da una visione cosmocentrica ad una antropocentrica, problema che va
ben al di là della vicenda costantiniana. Quel che si può dire, rimanendo
strettamente attinenti al tema in questione, è che il cambiamento iniziò ben
prima di Costantino e si completò molto ma molto dopo di lui, con il Rinascimento,
giusto un po’ di tempo dopo, ma giusto un poco... I cambiamenti di “visione del
mondo” (weltanschauung) sono ben più lunghi e complessi di quelli di forma
politica o economica. In linea generale, le visioni del mondo hanno un momento
inerziale molto più potente dei problemi di forma politica. Paradossale a dirsi
o ad osservarsi, ma la mente è ben più inerziale del corpo.
Costantino
si affidava ai suoi consiglieri su questi temi non perché fosse poco colto,
oltre ad essere un validissimo combattente ed un astuto stratega, era persona
colta ed aveva studiato alla corte di Diocleziano, ma perché il suo “retroterra
(background) culturale”, come si dice oggi, era squisitamente greco-romano, non
conosceva davvero le Scritture cristiane né aveva una vera conoscenza del mondo
ebraico e del suo modo di pensare. Occorre ribadire che la sua cultura di fondo
era quella sostanzialmente quella classica.
Andrea
Ianniello
Segnalazione su tal tema: Andrea A. Ianniello, “L’imperatore Costantino. Tra storia e leggenda”, Giuseppe Vozza editore, Caserta-Casolla, dicembre 2013
RispondiElimina