Riceviamo e pubblichiamo volentieri
E’
stato recentemente pubblicato l’ultimo numero dei Quaderni Campano-sannitici, vol. XI del gennaio 2013 (collegato
alle Giornate in onore di G. Tescione), dedicato alla Bolla di Senne (o
Sennete), che “segna”, per così dire, la Diocesi di Caserta. I Quaderni, va detto, sono un importante contributo
interdisciplinare, nel senso che, concentrandosi sulla Bolla di Senne, in
realtà spaziano su vari temi e da differenti angoli visuali. Qui ci si
concentrerà sul contributo di D. Caiazza intitolato: “Nomi e paesaggio nella Bolla di Senne”, e, in tale articolo, ci si
concentrerà sul tema che qui più interessa: l’etimologia del nome di Caserta.
Due annotazioni, tuttavia, vanno fatte: che la Diocesi di Caserta iniziasse
nel XII sec. (l’epoca della Bolla) e che, quindi, la relazione con Calatia e
Sant’Augusto fosse una tarda rielaborazione (del XIX secolo probabilmente) era
già ben noto e dunque qui nessuna novità di sorta (cfr.: Dizionario Storico delle Diocesi. Campania, a cura di S.
Tanzarella, L’Epos editrice 2010, pp. 256-280).
Veniamo
subito in medias res, all’etimo del
termine Caserta. Caiazza considera l’etimo di Caserta, derivante da Casa “irta” sul colle, come una costruzione
tarda e colta, il che può anche starci, ma, se non vogliamo far derivare “irto”
da “erto”, dobbiamo pur fare riferimento ad altra etimologia; Caserta è “erta”,
infatti, solo vedendola dal piano, ma
su, in collina, è un posto piatto,
adatto agli armenti. Inoltre, rifiuta l’origine mista, di radice germanica e
romanza, del termine Caserta, cui però dà un qualche rilievo in relazione alla
probabile radice precisamente romanza e
germanica, mista cioè, che lui rileva
in altre località dal nome di Caserta o “Caserte”. Lui fa derivare questa
probabile origine mista da cas-bert,
quando è assai più probabile che, scegliendo una tale origine, sia da cas-hert (o heard), ovvero la casa del gregge. Secondo Caiazza, Caserta deriva
da “casirat” in un documento notarile
del 1149 siglato da Nicola Frainella (D. Caiazza, “Nomi e paesaggio nella Bolla di Senne”, Quaderni Campano-sanniti vol. XI 2013, p. 30), e, poi, per un
fenomeno linguistico, la finale “-at”
sarebbe divenuta “-ta”. Ma sarebbe
potuto essere perfettamente un errore di scrittura, nient’affatto infrequente
nei documenti notarili. Con i condizionali, non c’è mai fine. Ora, il punto è
che Caiazza accetta sì la possibilità di origine mista per tutte le altre località chiamate “Caserta” o “Caserte” o
simili, tranne la Caserta città (Caserta
“vecchia” di oggi) sostenendo che nessuna
di queste altre località è divenuta città e son tutte rimaste “recinto chiuso e
fortificato per ricovero armenti”, come l’etimologia di casbert/cashert attesta e
significa.
Ora
però, se si legge Erchemperto, si scopre che i Longobardi di Capua,
rissosissimi, i quali fondarono Caserta come città, si recarono sulla collina
dove già vi era una località Caserta
(cfr. D. A. Ianniello, Tre momenti
storici della Civitas Casertana, Quaderni Associazione Biblioteca del Seminario
Civitas Casertana 1999, p. 120 e sgg., il quale, a sua volta, fa riferimento a
Erchemperto, Storia dei Longobardi,
Salerno 1985, nn. 28, 30 e 40
in part.). Nel trattare delle etimologia, chiaramente
longobarde, di Sala e Aldifreda, sul
piano, Caiazza giustamente rileva che il movimento è stato dal piano alla
collina. Per Sala accetta l’etimo longobardo, per Aldifreda invece un etimo…
franco! Quello più accettato, ma che nasce da una profonda incomprensione
dell’epoca delle cosiddette “invasioni barbariche” e dei Regni romano-barbarici
che, tra l’altro, batterono certamente moneta, diversamente da come taluno ha
detto in una recente trasmissione radiofonica. Si precisa che tali etimi longobardi
si ritrovano in un mare di etimi di
origine latina, importante questo punto. Ora, Sala era una forma di
organizzazione della produzione, dove il “sala”
era il luogo dove si versavano i tributi da parte dei tertiatores (coloni che dovevano al loro signore la terza parte dei
frutti del fondo coltivato) della terra ai loro signori longobardi. Ed
Aldifreda quindi deriverebbe dal franco Ala,
tutto, e frith, pace, abbondanza,
sarebbe come Alfredo. Questo è estremamente improbabile perché significa che
dei Franchi si mescolarono a dei Longobardi, il che, a sua volta, sarebbe
attribuire loro quella “poli-etnicità” della quale i Normanni furono portatori,
perché fra loro sì che c’erano cavalieri di differenti etnie. Ma siamo in
un’epoca molto ma molto diversa da quella longobarda, inoltre i Normanni furono
una classe dirigente, i Longobardi furono invece una delle poche invasioni
barbariche che s’insediarono davvero in Italia e la modificarono. L’assenza di
classe dirigente in Italia, spesso di origine straniera o facente riferimento a
potentati stranieri, è infatti un male profondo ed antico dell’Italia, con
l’eccezione dello Stato della Chiesa, che è stato storicamente tra i pochissimi
stati della penisola ad avere una qualche forma di classe dirigente, piaccia o
non questo fatto. I Longobardi non solo non stavano lì a mescolarsi con i
Franchi, ma spesso furono loro acerrimi nemici. Con un interessante relitto di
riduttivismo scientista, nel dibattito alla presentazione Rivista alla Libreria
Feltrinelli (in Via Corso Trieste), si è sostenuto che è un falso
l’attribuzione del nome Aldifreda ad una inesistente principessa longobarda
Freda. Verissimo, ma che c’entra con l’etimologia del nome? Nulla. Infatti,
tali attribuzione eponime spesso si ritrovano quando si è persa l’origine del
nome. Quindi, piuttosto che un nome di persona, Alfredo (Alafrith), si suggerisce “alda”
e frith, o “frida/freda”, pace, abbondanza. “Alda” è la forma longobarda, la forma tedesca, ovvero germanico
dell’ovest, più simile al franco, è “alte”,
antico e nobile nello stesso tempo, con la “–a” finale divenuta “–e”. In
inglese è “old”, con la caduta della finale più trasformazione della “a” in “o”, ma c’è anche la forma “elders”,
Anziani, dove addirittura la “o”
iniziale diventa “e”, una completa
trasformazione vocalica, tipica del germanico occidentale. Il longobardo invece
mantiene la “a”, come avviene in certe lingue scandinave, più arcaiche: per
Paolo Diacono i Longobardi deriverebbero dal Sud della Svezia e dallo Jutland
attuali. In Svezia vi è una città chiamata Sala. E, sopra Sala, vi è Uppsala: upp, inglese up, sopra, Sala. Non solo, ma frith/frida/freda è femminile e la
vocale terminale di “alda” diventa “aldi”, anche se la cosa può essere solo
un fenomeno fonetico, sprovvisto di significato grammaticale.
Ci
sarebbe molto da dire sulla questione dell’epoca romano-barbarica cosiddetta e
sul tema degli “Sclavones”, gli
“slavi” che i Longobardi portarono con sé, dalla “Pannonia” (attuale Ungheria)
e sulla loro effettiva appartenenza etnica. Tre cose vanno, in brevissimo,
notate: che questo soggiorno in est Europa rese i Longobardi ben diversi dai
Germani occidentali e che, dunque, che vi si mescolassero è molto improbabile; che le bufale
campane, portate dai Longobardi, son di origine bulgara, cioè balcanica; che
l’origine bretone per la parte di Marcianise che dittonga nella pronuncia non
tiene conto che lì si tratta di uno “schwa”
seguito da “i” e non, come invece in inglese, da una “a” seguita dalla “i”
(come accade nel termine inglese “I”,
io).
Il
succo della vexata quaestio è che, in realtà, spiace ricordarlo,
la penisola italiana, ed in particolare il Sud, ha intrattenuto con i Balcani
delle relazioni molto più strette di quel che comunemente si voglia ammettere.
Spiace ricordarlo.
Andrea A. Ianniello
Aldi-Freda è invero strettamente legata ai Longobardi che si dividevano in classi sociali. Gli ARIMANNI ( UOMINI ARIANI-nobili) cittadini e guerrieri a pieno titolo. Gli ALDI ( SEMI LIBERI POTEVANO SPOSARSI ED ESSERE DIFESI IN TRIBUNALE ED ERANO SOTTO PROTETTORATO DEL LORO PADRONE ARIMANNO)infine gli schiavi. ALDI derivava dall'antico svedese : ESTRANEO (estraneo alle classi nobili), essi lavoravano per il loro patron protettore e pagavano il terzo del raccolto in tasse. La frazione per il pagamento era appunto SALA come giustamente indicato. Ancora FREDA nell'antico e attuale svedese significa Protetto/a/i. Quindi ALDI-FREDA ad indicare l'insediamento di una classe sociale protetta. PS IO SONO DI ALDIFREDA 100%. MASSIMO SCICOLONE
RispondiEliminaIn pratica in aldifreda stava chi controllava il mercato-Sala, però c’è sempre il problema linguistico, lo svedese attuale è una forma di scandinavo, all’epoca non eran così distinti, quindi alte/aldi hanno la stessa radice, come freda/frith. Secondo vari studiosi, la oingua longobarda sarebbe germanico centrale influenzato da quello orientale. La lingua germanica si divide in occidentale, centrale, orientale: lo scandinavo è simile all’orientale e lo svedese è la forma più conservativa. Per capirlo è fondamentale misurare due cose: quanto la “a” si mantenga e non si trasformi in “e”, e se le dure diventano fricative. La piena trasformazione si ha nel tedesco del centro. Per fare un esempio, nave in inglese fa “ship” e guidarla è “skip”, non quel che significa oggi ma la radice. La forma antica è skip. In tedesco al nave è Schiff, cioè shif, la piena trasformazione.
RispondiEliminaIn svedese la “a” si mantiene ...
Ringrazio che ha commentato - son l’Autore dell’articolo pubblicato - ma va detto ceh el due cose non si contraddicono necessariamente.
RispondiEliminaQuel che va sottolineato è che l’epoca delle “Migrazioni dei popoli”, alla fine dell’Impero Romano, cambia la **struttura dei popoli germanici, cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Migrazione_longobarda - Una notazione su questo articolo è che pone i Longobardi con i popoli germanici orientali, il che linguisticamente è inesatto, quando sono tra quelli centrali, a mezzo tra i gruppi occidentale ed orientale. Dell’orientale fan parte i Goti...
(http://it.wikipedia.org/wiki/Germani#Goti)
Da questo link, relativo al gotico di Crimea, si evince la similarità tra gotico e svedese, piuttosto che tra longobardo e svedese: http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_gotica_di_Crimea.
In ogni caso, l’epoca delle migrazioni dei popoli cambia la struttura dei popoli migranti, nel senso che fa emergere sempre più una nobiltà - gli “arimanni”, da herr, signore, e mann, i Signori - dal gruppo dei “liberi”, gli “aldi”, per l’appunto.
In antico, nelle Saghe scandinave, il “libero” è detto Karl, uomo libero.
Egli partecipava all’Althing, la cosa di tutti - res publica... - ovvero il “touto” dei Sanniti, aperto ad aristocratici e liberi, ma non al gruppo dei “servientes”, quelli che eran soggetti.
L’epoca delle migrazioni vide gli aldi diminuire nei loro ditritti, a favore di un rafforzamento degli arimanni.
Probabilmente, la storia delle popolazioni di lingua germanica vede di seguito la nobiltà venir sempre più compressa dai liberi, che affermano i loro diritti. La “Magna Charta” non è altro che l’imposizione della nobiltà sulla Corona. In genere, capita spesso che la Corona si appoggi sulle classi medie, i liberi, contro i diritti delle aristocrazie.
Segnalo che il “mundio” è attivo in terra benevenatana fin quasi al 1500 o poco dopo. Vi eran due leggi, quella latina per le classi alte, e quella longobarda per le classi popolari.
Si noti quanto tardi siamo, nel XVI secolo...
Mi firmo qui Anonimo - perché dovrei segnarmi con un profilo e ci vuol tempo - ma in realtà son (L’autore) del testo quivi suso - non dunque l’Anonimo di su qui -
Nel primo link vi sono dei riferimenti ai Longobardi, ils econdo è solo bello:
RispondiEliminahttp://associazione-federicoii.blogspot.it/2013/09/elpidio-jenco-e-il-giappone.html
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2013/09/le-infinite-sfumature-dellalba-link-dal.html
(l’Autore del pezzo di quivi suso)